Tranquilli, è solo uno schema globale

Breaking news dal mondo dei motori di ricerca: Google, Bing (leggi: Microsoft) e Yahoo! lanciano schema.org, uno "schema globale" dei contenuti del web. Si tratta di strutture che i webmaster dovrebbero usare per il markup delle pagine e i motori di ricerca per rispondere in modo ragionato alle richieste degli utenti. L'idea è quella di inserire nel codice html alcune proprietà il cui significato non è tipografico, ma semantico, così da poter codificare, assieme a font e spaziature, eventi, luoghi, persone, organizzazioni, e tante altre cose a cui le pagine fanno riferimento.

Eventi, luoghi, persone, organizzazioni .. un attimo .. ma questa non è l'ontologia di cui si parla da anni nel Semantic Web?  Niente affatto, ci spiegano quelli di schema.org: "la gerarchia di tipi presentata su questo sito non è intesa come una 'ontologia globale' del mondo. Essa riguarda soltanto i tipi di entità per i quali noi (Microsoft, Yahoo! e Google) possiamo fornire qualche trattamento particolare nel prossimo futuro".

Lo schema non è un'ontologia, dunque, ma "soltanto" un elenco di tipi di entità. Come dire: questa non è una pagina web, ma "soltanto" un testo html in un sito internet. Chissà allora cos'è un'ontologia nell'immaginario dei ragazzi di Microsoft & co. Forse l'associano a Dio che dall'alto di una nube, tra tuoni e fulmini, detta a Mosè i Dieci Comandamenti. Invece un'ontologia è proprio un elenco di tipi di entità fatto da gente normale per qualche motivo, esattamente come quello che ci propongono (e certamente non per primi) questi ragazzi. Da dove nasce allora l'equivoco?

A volte si sente dire a certi informatici che un'ontologia è tale solo se è scritta con un linguaggio logico appropriato (purtroppo si sente dire anche l'inverso: qualsiasi cosa scritta con uno di questi linguaggi logici sarebbe un'ontologia). Non so se gli ingegneri di schema.org appartengano a questa scuola di pensiero, ma tale circostanza spiegherebbe le loro strane affermazioni, visto che nel loro "schema globale" di logica pare ce ne sia poca.

Ora, sarebbe facile bacchettare questi "barbari" informatici per la loro confusione tra forma e sostanza, sennonché l'idea della lingua-buona-per ha radici antiche ed eccellenti. Per esempio, a Carlo V d'Asburgo è attribuita l'idea che ci sia una lingua buona per pregare (lo spagnolo), un'altra buona per parlare ai cavalli (il tedesco) e un'altra ancora per rivolgersi alle donne (indovinate un po' qual è). Heidegger pensava che si potesse filosofare solo in greco antico e, guardacaso, in tedesco (non con i cavalli, però). Ma è bene chiarirlo: costoro si riferivano al lessico, non alle proprietà formali. Certi informatici sembra invece che abbiano in mente proprio la forma. Ad esempio, non ci sarebbe ontologia senza la possibilità di esprimere vincoli di inclusione tra insiemi (del tipo: tutti gli A sono B). Se però io fossi un monista parmenideo (no, amici veneti, non ci sarebbe niente di male) con l'inclusione non ci farei nulla, visto che l'Essere sarebbe per me un'estensione indifferenziata. Insomma non c'è un "minimo sindacale formale" sotto al quale non si può parlare – in generale – di ontologia. Ci sono discorsi più o meno formali su qualsiasi cosa, la fisica, i sentimenti, le ricette di cucina, e l'ontologia non fa eccezione. No, dietro alla strana affermazione degli ingegneri di schema.org c'è altro.

Vediamo: da una parte abbiamo "ontologia", dall'altra "schema delle entità del mondo". Quando, a parità di denotazione, due espressioni non sono considerate equivalenti (come ad esempio accade per "spazzino" e "operatore ecologico") dietro c'è un problema di connotazione, cioè di ulteriori sensi che le espressioni veicolano al di là del loro significato letterale . Cosa c'è nella connotazione del termine "ontologia" che ne rende l'uso così pruriginoso per certi ingegneri? Forse alle orecchie dei nerd di Microsoft & co. la parola suona un po' pesante, e richiama certe sofisticherie dei loro colleghi europei, mentre loro, da bravi pragmatici, son tutti protesi allo sviluppo di cose concrete e che funzionano. O forse sono preoccupati di evocare il fantasma foucaultiano dell'egemonia culturale delle multinazionali e vogliono fare un po' di understatement.

Forse invece c'è proprio un'avversione per la teoria, questa sì un po' barbarica. L'informatica è un'ingegneria in cui, stranamente, "basta che funzioni" è un'espressione ben accetta. Pensate a un ingegnere civile che dicesse "me ne infischio della statica e della fisica in generale, basta che il mio ponte funzioni": sarebbe di sicuro radiato dall'albo. Certo, i ponti li facevano anche i Romani, ma non credo che loro avrebbero disdegnato le equazioni per i calcoli strutturali, se un Pitagora le avesse teorizzate. Va bene: nessuno ha le equazioni dell'ontologia, ma lo "stato dell'arte" della disciplina non è tutto da buttar via. Non prima, almeno, di averlo preso seriamente in considerazione.

Anche il più pragmatico degli informatici, quando si mette a fare un modello, di fatto teorizza su quel che c'è al mondo. Certo, il pragmatico si può sempre atteggiare a un certo postmodernismo per cui tutto sarebbe linguaggio, e qualcuno (non si sa quanto in buona fede) pure lo fa. Ma questo mal si attaglia al buon ingegnere, che in genere, per contratto, sulla realtà è chiamato a operare alcune trasformazioni. Dunque egli deve optare tra il fare ontologia in modo aperto, trasparente e consapevole, oppure alla carlona, tra le pieghe dei propri oscuri diagrammi, o peggio del codice applicativo. Speriamo che chi s'è messo "solo" a definire lo schema globale sul quale i principali motori di ricerca dovranno in futuro ragionare si risolva per la prima opzione. 

 

  • Giuly |

    Che il mondo privato si metta d’accordo può essere un “buon” segnale, ma solo se anche gli altri ambiti (mondo tecnico e utenti) si muovono e lo bilanciano, altrimenti lo scenario futuro di pagina 10 dello studio “Towards a future Internet”(http://www.internetfutures.eu/wp-content/uploads/2010/11/TAFI-Final-Report.pdf) andrà nella direzione sbagliata… cioè sarà sbilanciato dai grandi player commerciali.

  • Guido |

    Enrico, dovreste essere voi che state attorno al W3C a lamentarvi. Berners-Lee questa cosa poteva farla 10 anni fa, con un metodo partecipativo e ben altre fondamenta logiche.

  • Enrico Franconi |

    Mah, sempre a lamentarti, invece di essere contento del fatto che i tre grandi (private compagnie) hanno adottato una tecnologia interessante. Sicuramente perfettibile, ma sai, un elenco di parole è un elenco di parole…

  • PDM |

    Bell’articolo Guido, scrivine una versione in inglese per il resto del mondo che lo condividiamo

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