Dovremmo rompere i monopoli digitali?

Il 27 Novembre ultimo scorso il Parlamento europeo ha votato una risoluzione in cui (tra le altre cose) si ipotizza lo scorporo (unbundling) della ricerca dell’informazione dal resto dei servizi online. Se un singolo operatore avesse il monopolio della ricerca e attraverso questa posizione potesse influenzare gli affari, infatti, le condizioni di concorrenza nel mercato ne sarebbero alterate.

I Members of the European Parlament non fanno nomi, ma sappiamo che questo operatore esiste: si chiama Google, e detiene in Europa il 90% del mercato dei servizi di ricerca. Google non ha commentato la risoluzione, ma ieri l’Economist ha pubblicato un articolo sull’argomento, e considerando che Eric Schmidt (executive chairman di Google) è nel board della rivista, l’articolo va considerato attentamente.

A partire dal titolo. Per un emblema del liberalismo classico come il magazine londinese, la domanda Should digital monopolies be broken up? sembra retorica: Yes, of course! risponderebbe qualsiasi seguace del pensiero di Stuart Mill. Ma già l’immagine scelta a commento mette sull’avviso: si vedono alcuni signori in giacca e cravatta scura e una signora in tailleur che picconano il logo colorato di Google. Si tratta di grigi burocrati europei invidiosi della creatività californiana?

L’orientamento dell’articolo si rivela dopo pochi paragrafi: Google is clearly dominant, but whether it abuses that dominance is another matter. Si vede che Berlusconi ha fatto scuola: non era lui che diceva che sì, il conflitto di interessi c’era, ma lui – nella sua natura sorridente e benigna – non ne avrebbe approfittato?

Seguono argomenti che non arrivano neanche a essere fallaci, tanto sono privi di senso: [Google] stands accused of favouring its own services in search results, [..]. But its behaviour is not in the same class as Microsoft’s systematic campaign against the Netscape browser in the late 1990s. C’è una tassonomia delle fattispecie monopolistiche, evidentemente, ma l’Economist se la tiene per sé.

La chicca, il punto essenziale (ed esiziale) dell’articolo viene dopo:  Giving people flight details, dictionary definitions or a map right away saves them time. And while advertisers often pay hefty rates for clicks, users get Google’s service for nothing — rather as […]  nightclubs charge men steep entry prices but let women in free. Altro che liberalismo, qui siamo al grottesco, all’inversione, al pecoreccio. Il fatto che Google possa dominare la raccolta pubblicitaria perché è nella posizione di monopolizzare l’utenza è esattamente il problema.

Seguono un certo numero di considerazioni sulle barriere di ingresso più basse nell’economia online, sulla la fine naturale dei monopoli digitali per la spinta dei progressi tecnologici, eccetera, che giustificherebbero un rilassamento dei principi antitrust pensati per l’economia tradizionale. Nel digitale il monopolio va bene, insomma, non c’è da preoccuparsi, state sereni, ci rassicura l’Economist, nel cui board siede il monopolista.

La chiusa: Instead of attacking successful American companies, Europe’s leaders should ask themselves why their continent has not produced a Google or a Facebook.  Perché, se Google o Facebook fossero europee il problema del monopolio non ci sarebbe? Il Parlamento europeo è dunque solo un po’ rosicone? Questo ci mandano a dire da Mountain View?

 

Eric Schmidt