Sparare bufale e farla franca col la polizia

La differenza tra credere e sapere, secondo i filosofi, è semplicissima: se sai qualcosa, quella cosa deve essere vera, altrimenti significa che la stavi solo credendo. Detto in altri termini, si può parlare di sapere (conoscenza) solo se c’è modo di accertare la verità, altrimenti bisogna più correttamente parlare di credenza. Accertare la verità delle affermazioni su ciò che non è direttamente davanti ai nostri occhi è tutt’altro che banale non solo di fatto, ma anche di principio. Per questo paghiamo gli scienziati e gli epistemologi.
Le bufale, o fake news che dir si voglia, sono storie false (in Italia per lo più riguardano parenti immaginari di Laura Boldrini) a cui le ignare masse sono disposte a credere. Il problema è che le bufale politiche orientano l’opinione pubblica e inquinano la vita democratica, a cui la nostra costituzione dedica tanta attenzione. Di qui l’idea di istituire un servizio di polizia al quale segnalare le fole che impestano l’infosfera, per permettere a questa di accertare eventuali reati, ad esempio di diffamazione.
Il funzionario di polizia incaricato di accertare la verità della notizia dovrà giudicare la corrispondenza tra detto e fatto (adeguatio sermonis et rei) confrontando il “contenuto proposizionale” della notizia con i dati di realtà. Se parliamo di bufale standard, questo compito è di solito molto facile: si dice che x ha la proprietà P, ad esempio “Mario (x) è un assassino (P)”, e questo non risulta agli atti. Ma con qualche accorgimento si può dire qualcosa di simile in modo assolutamente veritiero. Basterebbe ad esempio: “Maria pensa che Mario sia un assassino”; se Maria lo pensa, l’affermazione è vera anche se Mario è innocentissimo, e il funzionario di polizia non potrà che prenderne atto. Da un punto di vista logico, il contenuto delle due affermazioni portate ad esempio è assai diverso. Tuttavia, si tratta di due frasi cognitivamente assonanti. Maria, peraltro, non potrà essere accusata di diffamazione, per il semplice fatto di non aver enunciato nulla di falso (la menzogna è un atto linguistico, non psichico), né ha mentito chi ha fatto outing del suo stato mentale.
Se lo spacciatore di bufale si rivolgesse ad un popolo di filosofi e scienziati, l’adeguatio sermonis et rei funzionerebbe benissimo, e non ci sarebbe neanche bisogno di scomodare il commissario di polizia in funzione di “oracolo” (colui che conosce tutte le verità). Maria crede in una proposizione? Benissimo: questo non ha nulla a che fare con la verità della proposizione. Purtroppo, invece, lo spacciatore di bufale si rivolge ad un’umanità mal ragionante. Il semplice evocare un contenuto che conferma un pregiudizio rafforza il pregiudizio.
Il bufalaro non fa appello alla conoscenza (episteme) ma gioca sporco con la credenza (doxa). Sarà facile per lui trovare il modo di spacciare la sua robaccia e farla franca con la polizia. E noi altri che si fa? Si combatte post a post, link a link, like a like, con la speranza che i nostri simili pian piano si riconoscano con noi. Non con le nostre opinioni, beninteso, ma con i nostri metodi.