Questione prima: cosa studia l’ontologia?
Ancora prima che fosse chiamata così, di ontologia si parla nella filosofia prima (metafisica) di Aristotele il quale pone il tema dell’ente in quanto ente (participio presente del verbo essere), cioè del discorso su ciò che è, indipendentemente da aspetti sensibili e contingenti.
"L’essere si dice in molti modi", esordisce Aristotele, con ciò rivelando quello che per lui era l’accordo tra linguaggio e mondo: quest’ultimo, attraverso l’anima (o se volete la mente), si riflette nel primo e dunque l’analisi di ciò che è viene ricondotta a ciò che se ne dice. Non è un caso che le categorie aristoteliche che abbiamo studiato a scuola (sostanza, qualità, quantità, ecc) abbiano una straordinaria somiglianza con le categorie lessicali e le funzioni grammaticali del greco antico (e in genere delle lingue occidentali), tanto che Archibald Sayce scrisse con ironia che se Aristotele fosse stato messicano (Maya, beneinteso) la sua (e la nostra) filosofia avrebbe preso un altro corso.
Com’è noto, il sobrio edificio aristotelico non fu mai abitato dagli scettici, e fu poi minato da idealisti, esistenzialisti e nichilisti, ma fu anche consolidato ed esteso dalla scolastica cristiana e in qualche modo restaurato dai neopositivisti e in ultimo da innatisti di varia specie.
Quello che qui ci interessa di tutta questa vicenda del pensiero occidentale è notare che l’oggetto stesso dell’ontologia è messo in discussione; per Heidegger ad esempio non è l’ente ma l’esserci, il che fa una bella differenza. Cosa studia l’ontologia allora? ‘Dipende dall’ontologo’, è la risposta. Elusiva? Non del tutto, ma il discorso ci porterebbe lontano.
Per quello che interessa qui, ora ci dobbiamo chiedere: che genere di ontologi sono gli informatici? Sarà il tema della prossima questione.