Una delle conseguenze della libertà che regna nel web è oggi sotto lo sguardo attonito di tutti: nel web si può dire che la Shoah è non è mai avvenuta. Sia chiaro: cose del genere si possono dire anche al bar o perfino, s'è visto, nelle aule delle Università. Ma nel web, dove un sito negazionista ha, in linea di principio, la stessa diffusione del più serio degli istituti di studi storici, questo provoca un disagio del tutto nuovo. Questo disagio ha la stessa origine di quello più generale provocato dalla fine dell'autorialità come l'abbiamo conosciuta fino ad oggi. Non esiste più il ruolo di intermediazione che le istituzioni culturali hanno, nel bene e nel male, esercitato fin dall'inizio della della scrittura. Il falso, nel web, ha le stesse opportunità del vero. La "singolarità qualunque" ha la stessa voce di qualsiasi presunta incarnazione di qualsiasi presunta universalità. Incombe sul web il motto nichilista per cui "non esiste la verità, ma solo l'interpretazione".
La più immediata reazione davanti a questo stato di cose è quella della coercizione. La comunità ebraica propone una legge che istituisca una verità storica sulla Shoah. Per estensione, osserva Odifreddi, si dovrebbe istituire per legge qualsiasi verità, o, che è lo stesso, punire qualsiasi falsità, inclusa quella che (egli ritiene) riguarda l'esistenza di Dio. Personalmente, mi associo all'idea diffusa che il web renda la proibizione impraticabile, anche se si dovesse limitare alle falsità particolarmente pericolose come appunto quelle sulla Shoah, a meno di non generalizzare l'approccio cinese che consiste nell'impedire (con grande difficoltà) l'accesso a siti gestiti fuori dai confini nei quali opera una legge nazionale. Ma questo non toglie che proposte come quella della comunità ebraica possano avere un valore simbolico che va oltre gli effetti pratici immediati.
Un approccio radicalmente diverso è quello della persuasione. Un'idea libertaria, sostenuta in passato anche da Chomsky, vorrebbe che non fosse proibito dire nulla, senza eccezioni, e che la parola possa essere contrastata solo con la parola. Alla base di questa idea c'è probabilmente una fiducia di fondo nella semantica e nella razionalità umana, cioè nella capacità di ognuno di giungere alla verità attraverso la comprensione del linguaggio e il corretto ragionamento. Purtroppo la storia ha tradito troppe volte questa fiducia, e vien fatto di pensare che se ai primi nazisti fosse stata tappata la bocca, anche con le cattive, sei milioni di ebrei (e decine di milioni di altri esseri umani) sarebbero morti nella pace dei propri letti, o sarebbero ancora vivi.
Escluse la coercizione e la persuasione, forse una strada praticabile è quella dell'educazione al senso critico. E' vero: non c'è nulla che possa vincolare l'essere umano a osservare fatti, ascoltare proposizioni, giudicare l'adeguatezza di queste ai primi, e trarre conseguenze ragionevoli da premesse plausibili. Però si può far riflettere la gente sul fatto che questo tipo di comportamenti siano, in fin dei conti, vantaggiosi. Ovviamente non si ha nessuna garanzia del risultato. Ma ciò non toglie che si possa fare un serio tentativo. In una politica educativa del senso critico, anche la stigmatizzazione legale delle falsità più orrende, come quelle sulla Shoah, può avere un senso.