“La popolazione italiana in età di lavoro soltanto per il 20% ha le capacità minime indispensabili per orientarsi nella vita di una società moderna” avverte da anni Tullio De Mauro, inascoltato. Molti dei nostri giovani non hanno "l'opportunità di aprire un libro, andare al cinema, allenarsi in uno sport, connettersi ad Internet" denuncia la De Gregorio, citando dati di Save The Children. In compenso, vogliamo vivere su un pianeta intelligente, ovvero: pieno di oggetti che pensano. Telefoni che sanno cosa stai per fare, automobili che guidano da sole, frigoriferi che decidono quando è il momento di fare la spesa, e via dicendo.
Qualcuno inizia a preoccuparsi per il divario tra apparati sempre più sapienti e persone sempre più abbrutite, fino al punto di includere, come fa un gruppo di scienziati e filosofi in quel di Cambridge, l'Intelligenza Artificiale nel novero dei rischi per l'umanità, assieme alle guerre nucleari e alle catastrofi climatiche. "La preoccupazione – dice uno di loro – è che con la creazione di macchine dotate di intelligenza artificiale si rischi di affidare il controllo del pianeta a forme di intelligenza che sono indifferenti verso di noi e verso le cose a noi care".
Anche David Weinberger, quando dice che, tra le persone riunite in una stanza, la cosa più intelligente è la stanza, non sembra rivolgere un grande apprezzamento al genere umano. Ma l'internettologo statunitense intende in realtà suggerire che l'esternalità della conoscenza portata dalle nuove tecnologie e dai nuovi media è in realtà una sorta di reificazione della nostra buona disposizione alla condivisione del sapere, e rappresenta per noi un'opportunità, non un pericolo. Infatti, essa romperebbe il medievale dominio del còlto sull'insipiente, in favore di una qualche forma di intelligenza collettiva o, se volete, di un comunismo epistemico favorito da un macchinario erudito, ubiquo e iperconnesso.
La storia (narrazione, direbbe qualcuno) di una società di individui omologati in un'aurea mediocritas dell'intelletto, ma complessivamente in grado (nel bene o nel male) di produrre un'inedita eccellenza, ha dunque (almeno) due svolgimenti. Uno è quello del complotto capitalista che sfugge di mano e si trasforma in tragedia. E' la storia di Matrix, sequel tecno del Golem cabalistico. In una versione lievemente meno disastrosa, questo svoglimento si conclude alla Orwell-Huxley, con l'umanità ridotta in un limbo ipercontrollato ed eterodiretto. L'altro è quello della rivoluzione illuministica: l'avvento di una ragione immanente in una Repubblica filosofica di stampo non aristocratico (come in Platone) ma paritario (come in Campanella), in cui vivremo tutti in un falansterio planetario dotato di wi-fi e banda larga.
L'incertezza di quale sia, tra così diversi futuri, quello destinato a realizzarsi, può anch'essa avere molteplici sviluppi: mania, depressione, ansia, nostalgia, invettiva, sconcerto, ritiro dal mondo. Per quanto mi riguarda, io non ho nulla in contrario che una stanza sia più intelligente di me. Tuttavia, non intendo entrarci al buio, specie se c'è in giro la voce che sia piena di cretini. Quindi, prima di tutto, cerco l'interruttore della luce dentro un buon libro.