Vedo il meglio e lo approvo, ma scelgo il peggio confessa Medea nelle Metamorfosi di Ovidio. I poeti conoscono bene il conflitto tra ragione e passione che scuote i loro personaggi, si tratta del loro principale business. I neuroscienziati, dal canto loro, con nuovi e potenti mezzi, stanno chiarendo le basi biologiche della nostra irragionevolezza. Sono i logici che spesso, sull'argomento, mostrano imbarazzo, come se i conflitti interiori scuotessero non solo le persone, ma anche tutte le loro costruzioni intellettuali.
Va detto: non è questo il caso del padre della disciplina, Aristotele, il quale spiega bene che usare la logica nel ragionamento di tutti i giorni è una ben precisa scelta di vita, e che per esercitarla ci vuole un grande autocontrollo (enkrateia). Ma spesso, tra i logici più matematizzanti, ad esempio Boole, affiora l'idea che la logica sia il modello delle leggi naturali del pensiero. Quando poi si misura la distanza che separa il modello dal suo oggetto, si cerca di correre ai ripari complicando la logica, oppure più banalmente mistificando il pensiero.
Una di queste complicazioni, a cui si accennava nell'ultimo post, è quella della "tipicalità", che si prefigge di modellare certi comuni andamenti del pensiero. Si tratta di rendere conto di fenomeni di questo tipo: se vediamo un leone nella savana, non prendiamo in considerazione la possibilità che sia inappetente, ma scappiamo a gambe levate. Sappiamo che può ben esserci un leone che non abbia appetito, e forse ci siamo anche imbattuti in leoni astenici, ma se quel leone che vediamo è "tipico", allora ci mangerà. Molti nostri progenitori devono essersi salvati grazie a ragionamenti simili.
Allo stesso genere di ragionamenti appartengono però anche i pregiudizi. Sappiamo bene che un pregiudizio (ad esempio: gli italiani sono mafiosi) non si lascia scalfire da un'osservazione, ad esempio che Mario non è mafioso. Invece, se un sistema logico classico contenesse
- Per ogni x, ITALIANO(x) implica MAFIOSO(x)
- ITALIANO(Mario)
- NON-MAFIOSO(Mario)
questo franerebbe miseramente, nel senso che risulterebbe invalido e dunque se ne potrebbe derivare qualsiasi conclusione, come nel detto popolare: 'se mio nonno avesse le ruote, sarebbe un carretto'.
Per evitare che la logica diventi inservibile in casi come questo, si può aggiungere al linguaggio logico un nuovo operatore: chiamimolo T, per 'tipico'. Data una classe C, T-C sarà la classe di tutti e solo gli "elementi tipici" di C.Va da sé che T-C è inclusa in C.
Con un operatore siffatto, potremmo scrivere:
- Per ogni x, T-ITALIANO(x) implica MAFIOSO(x)
- ITALIANO(Mario)
A questo punto, la logica della tipicalità ancora non ci autorizzerebbe a dire che Mario è mafioso. Ma il nesso tra "italiano" e "tipico italiano" che essa ci ha offerto consentirebbe ad un'apposita inferenza di stabilire che, per default, Mario lo è in effetti. E se poi scoprissimo che non lo è, niente paura. Vorrà dire, semplicemente, che Mario è un "italiano atipico".
Ma che succederebbe se anche Maria, Giuseppe, Antonio e tutti gli italiani che conosciamo non fossero mafiosi? Nulla: per come funziona questa logica, il "tipico italiano" resterebbe un delinquente. Insomma, la logica della tipicalità è flessibile nei singoli casi, ad esempio ammette che si cambi idea su Mario, ma è tetragona sulla teoria, in quanto le osservazioni sui singoli casi non possono intaccarla, come invece succede per la logica classica, dove se un fatto non soddisfa un assioma, il sistema va in crisi.
Se la tipicalità fosse costruita su basi empiriche in modo trasparente e condiviso, allora la sua logica potrebbe anche essere utile. Ma Popper ha mostrato che non si può fare: non esiste un modo per risalire dai fatti alle teorie senza avanzare ipotesi arbitrarie. Certo è che per come la costruiscono tipicamente gli esseri umani, cioè attraverso narrazioni prive di qualsiasi fondamento, l'applicazione di teorie della tipicalità può risultare devastante. Basti pensare a come i tedeschi si considerassero tipici "ariani", e a ciò che ne conseguì.