Gli anglosassoni hanno due parole per parlare di libertà: freedom e liberty. La prima significa assenza di restrizioni rispetto a determinate leggi o regole sociali, la seconda denota la possibilità dell’individuo di disporre di sé, che precede e trascende leggi e convenzioni. Le vicende etimologiche hanno in questo caso avvantaggiato gli anglosassoni: essi hanno approfittato sia del protogermanico frijaz che del latino libertas e hanno dato voce ad una profonda distinzione ontologica: libertà particolare vs libertà universale. Noi, per riferirci a due nozioni così diverse, ce la dobbiamo cavare con una sola parola, e spesso siamo in affanno. Anzi, qualche linguista direbbe che mancandoci una chiara distinzione lessicale ci manca pure una chiara distinzione ontologica.
Alla liberty John Stuart Mill dedicò il celebre saggio che verte sulla "natura e i limiti del potere che la società può legittimamente esercitare sull’individuo", uno dei testi chiave del liberalismo. E’ noto come il pensiero liberalista si sia sviluppato maggiormente nei Paesi anglosassoni e abbia a lungo stentato nel Continente, tra dittature e gerarchie varie. Tuttavia è indubbio che il liberalismo abbia fatto molta strada anche da noi, specie negli ultimi vent’anni. Il motivo non è, a mio avviso, la caduta del muro di Berlino, ma la nascita della Rete.
La Rete limita il potere che la società può esercitare sull’individuo. I regimi totalitari non possono convivere con essa. Non potendola eliminare fisicamente devono controllarla, ma lo fanno con molta difficoltà. Le democrazie dirigiste come la nostra vorrebbero vincolarla, ma, semplicemente, non ce la fanno. Basta una petizione online per mettere in fuga quei sottosegretari che, di tanto in tanto, sono mandati avanti a sondare il terreno.
Nella Rete l’individuo dispone di sé e dispiega la sua capacità critica grazie alle proprietà libertarie inerenti al mezzo, che sono irriducibili. La classe politica deve prendere contatto con questa realtà, piuttosto che ignorarla o negarla. E noi dobbiamo imparare a usare il termine libertà in senso anglosassone, non per designare una particolare condizione in cui ci troviamo ma un diritto universale di cui dobbiamo fino in fondo appropriarci.
Credits: da una piacevole discussione con l’amico e collega Dino.