Web: semantica o morte!

Post_full_1282077544ff_webrip_chart2 Quando Chris Anderson ha suonato le campane a morto per il web, preconizzando l'era delle apps, la reazione è stata per lo più di ironia, fastidio, o sufficienza. Non si riesce a vedere come migliaia di softwarini che bisogna comunque andarsi a cercare e istallare nello smartphone possano  avere il sopravvento su un'infrastruttura aperta, dinamica, praticamente infinita, capace di sfruttare la potenza standardizzata dei browser, cioè il web. Non si riesce neanche a vedere apps e web in conflitto tra loro, visto che possono benissimo convivere e perfino ignorarsi.

Eppure, Anderson stavolta vede qualcosa che in effetti c'è. E' un movimento centripeto che tende a portare il contenuto del web dentro i 'walled garden' delle grandi aziende. Il web, al contrario di questi giardini, è ubiquità, decentralizzazione, pariteticità. E, allo stesso tempo, parsimonia: un bambino che pubblica una paginetta con un sever http di 10K sul suo computer giocattolo ha, in linea di principio, la stessa voce del Times. Proprio per venire incontro a tutti, il web è di una essenziale semplicità. Esso conosce due verbi: GET e POST, ma può parlare ovunque. Questo scarno ma libero eloquio, dice Anderson, può finire, perché gli utenti possono preferire alla laconica ubiquità del web la facondia centralizzante dei grandi player della comunicazione telematica.

Un esempio lo abbiamo già sotto gli occhi: Facebook. La rete sociale non conosce solo GET e POST, ma sa delle persone, dei loro dati, dei loro interessi, delle loro proposizioni; sa di eventi e di luoghi, sa di relazioni e preferenze. Tutto questo 'sapere del mondo' gli offre la preziosa capacità di ragionare. Ciò che il web, complessivamente, non sa fare. Il vantaggio che ne deriva fa sì che noi siamo disposti, giorno per giorno, a depositare la nostra vita in uno spazio logico non aperto e distribuito, ma chiuso tra le mura di un unico soggetto proprietario. E l'incanto che scaturisce dalla potenza di una logica accentrata fa sì che noi, paradossalmente, chiamiamo 'sociali' questi spazi chiusi.

Non sono le apps degli smartphone ad insidiare il web: sono le capacità dei servizi che sono alle loro spalle. Queste dipendono essenzialmente dalla capacità di modellare l'utente e il suo mondo, cosa che si può fare solo, ora come ora, nei giardini murati delle corporation. La vera sfida mortale per il web è quella di rappresentare la realtà e rendere ubiqua la capacità di ragionarci sopra. Come nel 'Semantic Web'.

  • Guido |

    @Marco, in effetti c’è confusione sulla tecnicalità della faccenda. Comunque il punto chiave del discorso di Anderson, a mio avviso, è l’alternativa tra un modello aperto, decentralizzato ma povero di mezzi espressivi e uno centralizzato, chiuso ma capace di più cose.

  • marco cavicchioli |

    c’è un errore di fondo in questo approccio (che è lo stesso che fanno poi tutti, compresi i non-esperti): Internet NON è uno strumento, ma soltanto una piattaforma.
    su Internet non c’è un unico strumento di successo (e gli altri sono un fallimento)! ce ne sono molti, ed ognuno ha più o meno successo nel tempo.
    sulla base di questo approccio errato più volte anche l’email è stata data per morta (per il diffondersi di altre forme di comunicazione concorrenti), mentre invece è viva e vegeta (seppur malata di spam). così come strumenti di comunicazione concorrenti si sono affiancati al’email ci sono, e ci saranno, strumenti concorrenti che si affiancheranno al web. interpretare questo fenomeno come “la morte del web” è miope ed ingenuo. apps e web semplicemente conviveranno. ognuno nel proprio segmento di mercato.

  Post Precedente
Post Successivo