Twitter, la rapidità, il pensiero

SerraMichele Serra non capisce Twitter, dice, per motivi generazionali. Anzi, con un sottile paradosso, dice che lo userebbe solo per twittare che gli fa schifo. Immediate le reazioni.

Se la cultura (in senso antropologico) produce una cosa che un intellettuale (chiunque la parola denoti) non capisce, ovviamente il problema è dell'intellettuale, e la cosa potrebbe chiudersi qui.

Ma ciò che Serra stigmatizza non è Twitter in quanto tale, è il suo stare-per la superficialità della comunicazione internettiana, rapida ed emotiva, il fatto che in 140 caratteri non si possa fare un ragionamento, ma solo tirare insulti o levare osanna.

Nella discussione che ne segue, Serra si manifesta come un dropped out, uno che ha rinunciato a stare dentro ai processi della contemporaneità. Non è un problema anagrafico: tanti suoi (e miei) coetanei si tengono agevolmente dentro questi processi, portandovi (nei casi più felici) la propria esperienza. E' piuttosto un errore di ragionamento, un pensiero fallace, è il non saper leggere fino in fondo la trama di quello che ci circonda. Una caduta, insomma, dalla quale tutti gli ammiratori del giornalista (tra i quali mi annovero) auspicano una rapida riscossa.

Varrebbe la pena di ricordare la celebre lezione di Calvino sulla rapidità:

Un ragionamento veloce non è necessariamente migliore d’un ragionamento ponderato; tutt’altro; ma comunica qualcosa di speciale che sta proprio nella sua sveltezza.

Più prosaicamente si può dire che Twitter funziona da cerniera, è un luogo di rimando, è l'hub di una elaborazione che avviene in tutto il web. Assolve ad una funzione puramente allusiva, semiotica, con tutti i suoi tag e i suoi tiny url, ed è proprio nel suo effimero che aggiunge valore.

Twitter non causa la superficialità del pensiero più di quanto un segno, ad esempio una parola, sottragga il suo oggetto all'esperienza. E che, allora non dovremmo più parlare?    

  • guido |

    E’ grave che un intellettuale non stia dentro alle cose dei suoi tempi. Pensate se Brecht e Benjamin si fossero rifiutati di accendere la radio..

  • Carlo |

    C’è un fenomeno estremamente interessante in twetter e nei mezzi di comunicazione moderni: il fatto che la comunità di parlanti che adotta lo stesso linguaggio tenda spontaneamente ad identificare delle abbreviazioni. In questo modo si realizza un linguaggio che sia il più sintetico possibile ma che mantenga il livello di espressività necessario. E’ successo per la segnaletica stradale, militare, per il codice morse, per gli sms. Ancor più interessante è il legame tra compressione e velocità del mezzo di comunicazione, Twitter è un esempio lampante di propagazione di informazione a velocità massima e, quindi, tempo di arrivo a destinazione minimo. Questa cosa, per il linguaggio naturale, è impossibile.

  • Simone che scrive su "purtroppo" |

    Ammiro (a volte invidio) il modo di scrivere di Serra. Veloce, preciso, pulito. Senza scampo. Twitter ci impone la ricerca estrema di questa sintetesi estrema. E’ un altro modo di scrivere, è un altro modo di comunicare. Forse servono altri strumenti per valutarlo. Mi trovo concorde con Guido Vetere, nella sua risposta a Michele Serra.

  • Dani |

    Ma perchè avete bisogno di cercare significati nascosti?
    “Dice che lo userebbe solo per twittare che gli fa schifo”
    Il problema è come si usa il mezzo?
    No.. il problema è da sempre come lo usa l’uomo, qualsiasi mezzo esso sia.

  • guido |

    Francesco, mi piace credere che la sottigliezza di Serra (che adoro) non mi sia del tutto sfuggita. Non sfugge però neanche l’inappropriato ‘shift metonimico’ che porta dal contenuto, i twitt binari, al contenitore, twitter. Nessuno, almeno di recente, ha mai biasimato le tipografie perché ci sono in giro libri scadenti. Chissà perché invece certi intellettuali della carta stampata non riescono a capire i nuovi media.

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