Nella puntata precedente, ho scritto che, per gli informatici, un’ontologia è un modello concettuale di quella parte del mondo reale di cui tratta il sistema informativo, ad esempio: clienti, ordini, fatture con le loro reciproche relazioni. Molti filosofi storcerebbero il naso davanti ad un uso così disinvolto del termine ‘ontologia’, ma gli informatici sono di più e hanno più soldi, quindi possono comprare i diritti sull’uso della parola, ed è proprio ciò che hanno fatto.
Come arriva l’informatico a produrre una concettualizzazione? Con un metodo infallibile, è ovvio. Per lo più, tale metodo consiste nel prendere documenti testuali, come interviste e manuali, e farne un’analisi linguistica. Compare il sostantivo ‘cliente’? Allora esistono entità ‘cliente’. Occorre il verbo ‘ordinare’? Allora c’è la relazione ‘ordina’. Certi aggettivi diventano attributi di entità, gli avverbi, per lo più, vengono guardati con sospetto. Tutto così semplice? Niente affatto, anche una frase banale come "ci sono generalmente più ordini che fatture" richiede una complessa manovra concettuale per capire se è il caso di introdurre ‘vincoli di cardinalità’. Ora, il problema è che non esiste un manuale completo per questo genere di manovre.
E’ chiaro dunque che l’informatico non applica il metodo in modo infallibile, anzi, forse in realtà non lo applica affatto. In effetti, egli mette in gioco conoscenze acquisite attraverso processi cognitivi assai complessi, e lo fa con artigianale creatività, usando i testi a posteriori per giustificare ciò che egli già sa, e cioè che esistono clienti, ordini e fatture. Ma tant’è: l’informatico deve usare un metodo, è questo quello che la gente si aspetta da lui. Nel patto che stipula col cliente, egli si impegna dunque a desumere l’ontologia del sistema da documenti testuali forniti dal cliente stesso. Ed è così che nelle conferenze di informatica si riversano ogni anno decine di articoli che illustrano metodi per estrarre magicamente ontologie da testi. Ma come si fa a provare che un metodo ontomagico dà risultati corretti, se non confrontando la concettualizzazione ottenuta dalla macchina con qualcos’altro, e precisamente con ciò che conosciamo della realtà? E allora perché dovremmo farci dire da un ignaro computer ciò che noi sappiamo già, piuttosto che esser noi a dire a quel pezzo di ferro e silicio come stanno le cose? Questo, in genere, gli articoli scientifici non lo spiegano.
Ma ci sono anche ricercatori informatici che prendono l’ontologia sul serio. Essi cercano di sistemare le nostre intuizioni sul mondo (quelle che, presumibilmente, troveremo nel linguaggio) secondo alcune nozioni metafisiche: identità, dipendenza, parte. Il metodo che essi propongono è problematico ma onesto, e si chiama analisi ontologica. Dato uno ‘zoccolo duro’ di distinzioni formali, si cerca di capire come il magma concettuale che il cliente riversa sull’informatico possa essere incanalato nell’alveo di certe categorie. Quando si ci si imbatte nel sostantivo ‘ordine’ ad esempio, non si introduce banalmente una tabella, ma ci si chiede: cos’è un ‘ordine’? Ha parti temporali (fasi)? Possiede comunque una collocazione fisica? Possiede un criterio di identità suo proprio o eredita questo criterio da qualcos’altro? E così si scopre che il singolo sostantivo cela un mondo assai articolato fatto non di una ma di molte cose: l’ordine come oggetto fisico, come tipo di documento, come processo concreto, come astrazione di una situazione tipica.
Il termine ontologia è diventato d’uso comune in informatica, ma l’analisi ontologica è assai poco praticata, benché ci sia tanto più bisogno di analisi che di buzzword. C’è ancora una lunga strada da percorrere per vedere i frutti della metafisica applicata all’informatica. La colpa non è (solo) degli informatici poco informati, ci sono pure questioni che i filosofi si divertono a lasciare aperte, e le proposte concrete attuali hanno ancora un’aria un po’ under construction. Ma se venisse il giorno in cui vi fosse consenso sull’astratto e il concreto, l’oggetto e l’evento, il tipo e il ruolo, lo spazio e il tempo, quel giorno sarebbe più facile costruire e integrare sistemi informatici, e così risolvere meglio problemi pratici da miliardi di dollari. Vedremo come andrà a finire.
Intanto però si ingrossano le schiere dei maestri del ‘pensiero debole’, quelli che dicono: "taggate, taggate, qualcosa accadrà", dei fautori della semantica emergente che fanno facili discorsetti antimetafisici ma poi invocano i Grandi Numeri. Di questo parlerò in un prossimo post.