Luca De Biase scrive del valore delle parole, e di quanto sia importante che oggi (dopo ubriacature di numeri e immagini) esse ci guidino alla ricerca di senso. Sia la vostra parola si al si e no al no, ammonì Cristo sul Monte, e con ciò si mostra che il potere del linguaggio ha sempre creato sia aspettative che ansie. In tempi come i nostri di grande amplificazione della parola scritta, crescono le aspettative sul senso che è in essa. Ma cresce anche anche un certo disagio. Il disagio, secondo me, è nella nostra incertezza su cosa sia il senso nel suo intimo, di come si formi, si riconosca, si usi.
La parola è stata spesso paragonata a una freccia scoccata da un arco (celebre l’arietta di Metastasio). Quindi abbiamo un arciere, un arco, una freccia e un bersaglio. La freccia è la parola e il bersaglio è lo scopo che si prefigge, e fin qui pare che non vi siano dubbi. Ora dobbiamo capire cos’è il senso e il soggetto che lo produce. Su questo purtroppo ci si divide: c’è chi pensa che, come direbbe Gibran, il soggetto sia un arco e l’arciere un senso immanente o trascendente, e chi crede al contrario che il soggetto sia l’arciere, il quale usa l’arco del senso come strumento e, all’occorrenza, ne costruisce di nuovi. La prima è una posizione aristotelica testimoniata anche nella Genesi: all’uomo tocca riconoscere sensi che sono già nel mondo, tocca insomma trovare nomi per le specie che Dio ha creato. La seconda è altrettanto antica, risale al pensiero orientale e sofista, si ritrova nella linguistica idealistica e nel costruttivismo, e dice che è la parola a definire il pensiero, e dunque nella libertà della parola è iscritta pure la libertà di situare enti nel mondo.
Un profondo dissidio sul senso percorre dunque da sempre il nostro pensiero. E tuttavia il valore è nel senso, ha ragione Luca. Che fare allora? Gli ingegneri del semantic web, quelli che dovrebbero regalarci il web 3.0, guardano solo alla freccia e al bersaglio, cercando modi per ottimizzare lo score semantico senza curarsi di chi in realtà prenda la mira e scocchi il colpo. Va bene, ma noi che scriviamo e leggiamo in questa rete di libere proposizioni non possiamo aderire a tale epoché ingegneristica. Sia che ci sentiamo arcieri o archi siamo noi che tiriamo freccie e dobbiamo stare attenti al bersaglio. Ho l’impressione invece che ci sia in giro sempre più gente che, anche con buone intenzioni, tira a casaccio. Insomma, proprio la potenza amplificatrice della rete sulla parola deve farci impegnare di più sul senso, pur nella nostra incertezza sulla sua realtà più intima.