Dissonanza cognitiva

In un post dedicato a Veltroni avevo parlato qualche tempo fa del caso in cui uno (che poi è diventato segretario del PD) è incerto sulle proprie credenze: "credo di non credere in Dio" afferma il Nostro.  Ma essere incerti sulle proprie credenze in fondo è abbastanza normale, lo spiega Raymond Smullyan nel suo Forever Undecided, un classico della letteratura logica. Non conoscere ciò in cui si crede equivale a negare che credo A implichi so che credo A, il che, tecnicamente, equivale a dire che i mondi possibili (le situazioni che reputiamo si possano attuare) non sono in uno ‘spazio euclideo’ cioè non sia vero che se dalla situazione s1 posso passare alla situazione s2 o alla situazione s3 allora da s2 posso passare a s3 e da s3 a s2. Chiaro, no? Insomma equivale a dire che la realtà, nel suo divenire, è un po’ incasinata, sulla qual cosa si può anche dar ragione a Veltroni.

Ma c’è anche da occuparsi del caso in cui uno non crede in ciò che sa. Me ne rendo conto leggendo qualche post in giro per la rete, non molto lontano da qui. In casi del genere, so che A non implica credo che A. Assurdo? Pensate a frasi del tipo: "non posso crederci". Pensate a un marito (una moglie) che sa che la moglie (il marito) lo (la) tradisce, e si finge che non sia così. Pensate a quella pagina de L’essere e il nulla in cui Sartre racconta di una ragazza che abbandona la sua mano tra le mani di uno spasimante che ella intende tuttavia respingere. Gli psicologi parlano in questi casi di dissonanza cognitiva. Per quanto possa sembrare strano, pare quindi che non credere in ciò che si sa sia un fenomeno piuttosto comune.

Per negare che so che A implichi credo che A bisogna che i mondi possibili siano in uno ‘spazio’ così disconnesso (‘non seriale’) che ve ne sono alcuni che non sono in relazione con nulla, neanche con sé stessi. Qui la mente vacilla: vi sono mondi  non coerenti con sé stessi? Totalmente oscuri e inintellegibili? Pare che a volte, per noi umani, sia proprio così.

L’incoerenza è piuttosto normale. Anzi, diciamolo pure: è premiante, è confortevole. Sappiamo che qualcosa è vero ma rifiutiamo di rivedere le nostre credenze per accogliere la realtà dei fatti. E’ più facile, non costa nulla. Per esempio: si sa cosa dice la proposta di legge sulla sicurezza, ma alcuni vogliono credere che sia un provvedimento per la deportazione in massa degli stranieri che vivono in Italia. Ogni riferimento a certe posizioni ideologiche sul problema del controllo sull’immigrazione è puramente intenzionale.

La musica dei nostri discorsi è spesso dissonante. Riusciranno le reti sociali, i blog, questo continuo,  inesausto, caotico confronto di proposizioni, a far venir fuori qualche accordo? Non lo so, sembrerebbe di no, ma confrontarsi, e imparare a confrontarsi, come dice magnificamente Francesco Morace, è sempre un bene.

  • Guido |

    Sei un idealista, e pensi che se la logica (classica) è in disaccordo con le nostre modalità ideative è la logica ad essere in difetto. Posizione rispettabilissima e pregevole, la tua, come sempre. Putroppo però qui si spalanca il baratro della ‘patalogica’ :-))

  • Dino |

    Caro Guido, quella che tu chiami “dissonanza cognitiva” altro non è, a mio parere, che il principio di base della creatività umana. E’ proprio quando non crediamo più in ciò che pensiamo che si innesca il processo, tipicamente umano, di indagine, di esplorazione, di speculazione intellettuale che si risolve nel completamento, in senso euclideo, del nostro spazio dei mondi possibili. Sicché, alla fine, la dissonanza si risolve in armonia.

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