Un post sul blog 'Linguista' di Repubblica, e successivi commenti, propongono la questione del genere da accordare ai sostantivi che denotano certi ruoli politici e professionali. Mia zia è avvocato o avvocata? La Carfagna è un ministro o una ministra? O una ministro? La Moratti un sindaco o una sindaca? O addirittura una sindachessa? Sulla questione che sembra banalmente grammaticale si staglia l'ombra del sessismo: lo fece notare tra gli altri (o sarebbe meglio dire tra le altre?) Alice Ceresa nel suo 'Piccolo dizionario dell'ineguaglianza femminile'.
Sappiamo che le lingue romanze (a parte il rumeno) difettano di quella grande risorsa che è il neutro, e dunque chi inventa una parola in italiano, in francese o in spagnolo deve affrontare quello che sarebbe un non-problema in inglese: dare un sesso alle cose. Così si dice 'il sole' e 'la luna', 'il ponte' e 'la strada', senza un preciso motivo, ma per arbitrio e convenzione.
Per chi un sesso ce l'ha davvero, animali e persone, le lingue romanze offrono un sistema di regole che da una radice nominale consentono di derivare il maschile e il femminile. Non si tratta di regole semplicissime, ad esempio in italiano non sempre basta usare il suffisso in -a: i sostantivi deverbali in -tore fanno al femminile -trice: pittore \ pittrice, conduttore \ conduttrice, e (ma solo per analogia, perché non esiste il verbo 'senare') senatore \ senatrice. Tuttavia, insomma, le regole ci sono, conclude il linguista Aldo Gabrielli, basta applicarle.
Così semplice? No. Nella lingua, l'abitudine ha sempre buon gioco sulla grammatica: 'sindaca' proprio non ci viene. E d'altro canto nessuna femminista ha mai preso a calci sugli stinchi chi chiama la Callas 'un soprano', o (in barba alla crusca) 'una soprano'. E si badi che, anche in questo caso, all'origine del misfatto linguistico c'è una discriminazione di genere: mulieres taceat in ecclesia dunque, nella musica liturgica, la parte più acuta la cantavano i bambini o addirittura i castrati.
La lingua non è quell'algebra che molti ancora pensano che sia, è una cosa molto più terra-terra, funziona caso per caso, e se c'è una regola, insegnava Saussure, questa esiste solo in virtù dell'uso. Come ce la mettiamo dunque con tutto questo sessismo che, per lo più involontariamente, nell'inerzia della consuetudine, ci capita di usare nella lingua di tutti i giorni? E' vero che la lingua costruisce il senso comune, e dunque dovremmo tutti impegnarci verso il genere grammaticale per significare l'impegno verso il genere naturale. Ma se diventa un'ossessione, è facile sconfinare nel verbalismo, cioè in quel tipo di antico pensiero magico per il quale si crede che la parola eserciti poteri che in realtà non ha.