«Usate identificatori come nomi per le cose, fate in modo che la gente possa usarli per accedere alle risorse del web, attaccateci informazione utile, e riferitevi a ciò che è correlato mediante altri identificatori». «Non usiamo più gli identificatori per i documenti, ma per le cose di cui i documenti parlano: persone, luoghi, prodotti, eventi. Tutti i concetti possono avere un nome che inizia con "http"»
Se la gente desse retta a queste parole di Berners-Lee, il web col tempo potrebbe trasformarsi in una gigantesca base di dati fra loro correlati, dove ciascun identificatore (URI) sarebbe singolarmente in grado di rappresentare qualcosa, e tutti assieme sarebbero capaci di dare un senso compiuto e unitario a quello che fluisce sul web. Si tratterebbe di dati liberamente disponibili (Open Data) in formato standard, messi a disposizione da istituzioni ed aziende, ma anche dalle singole persone, secondo il motto: «fate il vostro pezzo di lavoro, gli altri faranno il loro».
Sulla strada verso questo ideale di onniscienza telematica "dal basso" sono però in agguato i mille inganni del nominare linguistico, di cui parlavo nel post precedente. Assegnare un nome ad un ente è qualcosa che ciascuno fa per sé, dato il contesto, le intenzioni e le credenze del momento, al meglio delle proprie conoscenze e capacità. Il rischio che si rinnovi nei Linked Data la babele onomastica del linguaggio è assai concreto.
Per questo hanno importanza le nomenclature standard (di fatto) come quella della Wikipedia, e per questo sono in corso progetti come OKKAM che hanno lo scopo di istituire anagrafi delle entità che vivono in rete (anagrafi potenzialmente immense, se davvero andiamo verso una “Internet of Things” ).
Questi nomi denotano “particolari” come ad esempio: io, il mio cellulare, le coordinate geografiche in cui mi trovo. Cosa possiamo dire invece degli “universali”, cioè i predicati come persona, telefono, piazza? Essi forniscono ai particolari i loro connotati, e dovrebbero essere non solo nominati, ma anche interpretati con una certa regolarità da tutti gli 'agenti' che si agitano nel web. Cioè, a meno che non siano vuote stringhe, gli universali dovrebbero poter essere applicati ai particolari (es. persona(io)) senza creare irriducibili dissensi o grosse contraddizioni.
L’idea di Berners-Lee sembra essere quella di accompagnare nel web processi di natura linguistica, confidando in un naturale e spontaneo convergere del nominare verso un 'senso comune', qualsiasi cosa questo sia, così come, per qualche ragione ancora poco chiara, accade, grosso modo, con le parole. Ora, su questa convergenza si può ben essere scettici, ma non mi sembra che qualcuno abbia un'idea migliore.