Il connubbio tra pseudo-scienziati e fatui giornalisti ci mostra come sia importante, nel calderone del web, mantenere alta la soglia della vigilanza e coltivare lo spirito critico. Non passa giorno che sedicenti gruppi di ricerca in università anche prestigiose non balzino, sia pure per un attimo, agli onori delle cronache. Si tratta spesso di insulsaggini, ma tali da far balenare, agli occhi del fatuo giornalista, il barbaglio del titolo mirabolante. Non si tratta di "bufale" (hoaks), perché una ricerca (o qualcosa di simile) in effetti c'è. Ma il giornalista ne dispaccia le pseudo-conclusioni senza il minimo criticismo, perché, se l'insulsaggine sarà tale catturare la fantasia del lettore, avrà comunque contribuito al suo business.
Prendiamo ad esempio il caso di quei ricercatori dell'università di Bristol i quali, come ci annuncia tra gli altri Repubblica, sostengono di poter predire quali canzoni diventeranno hit. Come? Con una "equazione del successo" frutto, udite udite, dell'Intelligenza Artificiale.
Appena ci si guarda dentro, l'"equazione" si mostra in tutta la sua disarmante banalità. Si prende un insieme di parametri (tempo, durata, varietà armonica, ecc), si prendono le classifiche musicali, si stimano i parametri sulle canzoni che ne fanno parte, e si studia la distribuzione di successi e insuccessi rispetto a quei parametri. Se questa distribuzione fosse diversa dal casuale, allora quei parametri potrebbero essere considerati fattori di successo, e in base ad essi si potrebbe forse predire se una nuova canzone avrà o no successo.
Ma è così? A guardar bene, si direbbe di no. La distribuzione non mostra in effetti niente di eclatante, e la predizione funziona solo al 60%. Il numero di falsi positivi (hidden gems, ovvero flop che avrebbero dovuto aver successo) e falsi negativi (unexpected hits, cioè successi che avrebbero dovuto fare flop) è relativamente alto. Inoltre, sarebbe facile dimostrare, pentagramma alla mano, che è possibile fabbricare un infinito numero di falsi positivi, che nessuno però oserebbe chiamare"gemme nascoste". Basterebbe scrivere un'accozzaglia di note a caso che però soddisfi i parametri dell'equazione, et voilà. Se quella di Bristol fosse una teoria scientifica, si tratterebbe di una teoria scientificamente falsificabile. Siamo dunque nel territorio del bullshit.
Un giornalista scientifico accorto e volenteroso avrebbe tuttavia notato un particolare interessante: i parametri del successo musicale, ci dicono da Bristol, variano nel tempo. Nessuna sconvolgente novità: sappiamo bene che le canzoni del Quartetto Cetra avevano caratteristiche diverse da quelle delle canzoni attuali, e che oggi non avrebbero gran successo, se non per il fenomeno del vintage. Averlo quantificato, come hanno fatto a Bristol, ha però un certo interesse.
L'interesse è in questo: in barba alla matematica, il bello musicale è un fatto storico. E se vogliamo proprio insistere a fare estetica musicale col regolo calcolatore, non trascuriamo Leonard Meyer, che nel '57 spiegava quanto siano raffinati i giochi che la musica fa col nostro intelletto. Un giornalista scientifico accorto avrebbe potuto allora titolare: "Sensazionale scoperta a Bristol: l'equazione della musica la trovi tu che ascolti".