Memoria e futuro di Alan Turing

Alan_Turing_photoOggi Alan Turing avrebbe compiuto cento anni, tre in meno di quanti ne ha Rita Levi Montalcini. Questo per dire che l'uomo che ha ideato le attuali macchine di calcolo, a cui dunque dobbiamo gran parte della nostra modernità, potrebbe essere ancora vivo. Invece è morto suicida nel 1954, dopo una condanna per omosessualità (!) da parte di un tribunale britannico (perché, ricordiamocelo, l'inciviltà omofoba non è una nostra esclusiva).

Molte commemorazioni tra quelle che oggi ho letto si dilungano su cosiddetto 'test di Turing' che ancora oggi rappresenta il 'golden standard' dell'Intelligenza Artificiale. In due parole si può spiegare così: Turing affermò che se riuscite a fare un chatterbot (un programma che dialoga telematicamente) che tutti o quasi confondono per un essere umano, allora avete realizzato l'Intelligenza Artificiale. Egli aveva previsto che l'obiettivo sarebbe stato raggiunto in pochi anni, mentre oggi, con le migliaia di chatterbot in giro per la rete, è ancora pressoché impossibile non dico non accorgersi di avere a che fare con un computer, ma evitare il triste spettacolo del tuo interlocutore che annaspa nel nonsense.

Ah, quanto siamo lontani dall'Intelligenza Artificiale, caro Alan! Lo scorso anno, quando Watson (un portentoso quizbot di IBM) sconfisse i campioni umani a Jeopardy!, si gridò al miracolo. Ma basta esaminare i pochi errori che la macchina ha commesso nel corso del match (tipo quello di ritenere che Toronto fosse negli USA) per accorgersi che dietro c'è qualcosa di ancora molto distante dal ragionamento umano.

Perché un procedere così lento verso quel traguardo che Turing riteneva a portata di mano? Forse per una cosa che lo stesso logico fece ben comprendere: il rapporto tra computazione e decidibilità, che si affaccia in quello che è noto come il problema della terminazione. In pratica: non si può fare un programma che possa decidere se un programma qualsiasi, ricevendo un input qualsiasi, giungerà a fornire un output qualsiasi, o se pure resterà ad arrovellarsi per sempre. Ed è facile intuire il perché: come stabilire se questo super-programma terminerebbe? Pensateci.

Ma non è questo il punto. Di indecidibilità non è mai morto nessuno, e anzi il fatto che i programmi vadano testati uno per uno per ogni input tra quelli che accettano dà da mangiare a parecchia gente su questa Terra. Il fatto è che il paradigma logicista del ragionamento umano, che Turing ereditava dal neopositivismo logico, non tiene tutto il campo, anzi più si va avanti e più si vede quanto questo paradigma sia applicabile a regioni molto specifiche della coscienza umana.

Detto questo, resta intatta la magia della Macchina di Turing, quella che in questo momento, opportunamente messa in silicio, vi sta permettendo di leggere questo post. Per capire come funziona, andate a vedere il bellissimo Doodle di Google, con cui stamattina io e il mio geniale affiliato quindicenne ci siamo trastullati a lungo, segno che le intuizioni di Alan daranno ancora molti frutti.

  • guido |

    Sì, ma la prospettiva di Turing (e di molta AI) è puramente pragmatica: se non puoi distinguerlo da un umano, allora hai fatto un sistema AI. A complicare le cose ci si mette il fatto che da quando c’è l’AI, molti umani si comportano come robot 🙂

  • maurolaspisa |

    Affiora qui lo scarto tra ‘mente’ e ‘ragione’ ben noto alla teoresi classica: mentre la prima si autoprevede modulando registri di accesso la seconda esegue per codifica. Mentre tutti i registri (gestuale,musicale,inventivo) possono ‘ridursi in computazione’ danza,melodia e creatività non possono venir fuori da calcoli se non per artefazione.

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