Tutto il potere ai Social!

Lenin-klasskampTutto il potere ai Soviet!, gridava Lenin durante la Rivoluzione d'Ottobre. I Soviet erano "consigli di fabbrica" operai che oltre a discutere di cose sindacali eleggevano rappresentanti in organi territoriali di coordinamento politico. Questi rappresentanti non erano altro che 'portavoce', revocabili in qualsiasi momento dalla base se avessero tradito il loro mandato. Lenin pensava che quella organizzazione "dal basso" fosse la forma stessa della rivoluzione, e che il massimo organo di governo della nazione dovesse essere nient'altro che un Soviet Supremo. Poi arrivò Stalin, e il resto della storia, purtroppo, la conosciamo.

Pensate a una forma di rappresentanza in cui tutto si discute tra pari in un organo di consultazione permanente e accessibile,  alternativa alla democrazia parlamentare, fondata invece sulla delega. Potrebbe questa rappresentanza governare una nazione? Questione quanto mai all'ordine del giorno, rispetto alla quale l'Italia ha improvvisamente assunto un ruolo di laboratorio a cielo aperto a cui tutto il mondo guarda con interesse (sappiamo quanto le innovazioni politiche italiane abbiano influenzato l'Europa nel secolo scorso).

La democrazia diretta non è una novità, anzi nasce con l'idea stessa di governo del demos fin da Pericle e anche da prima. Ma, a parte qualche antica comunità o qualche kibbuz, non ha mai avuto grandi applicazioni pratiche. Almeno fino ad oggi, ke ci abbiamo la e-democracy e i social network!

Ma veramente si può fare democrazia diretta attraverso una rete sociale? Oppure i sistemi di mediazione telematica delle opinioni (alla LiquidFeedback) sono buoni al più per qualche comunità 'di scopo'? Se ad esempio i parlamentari si obbligassero ad essere dei 'portavoce' delle decisioni prese dai loro elettori in rete, ci sarebbe davvero la democrazia diretta, ottenuta peraltro senza alcuna riforma costituzionale? Questo può essere, ma non senza problemi.

Ad esempio: chi ha la password di root? Detto ai profani: chi può accedere alle parti interne della piattaforma di networking, così che possa, volendo, manipolarne i dati? Gestire la cosa in modo da dare a tutti la massima garanzia di trasparenza non è affatto banale dal punto di vista socio-tecnico. Oppure ci si deve fidare tanto (ma tanto) del sys admin e di chi lo paga. La e-democracy, proiettata sulla scala della legislazione, appare irta di difficoltà tecniche, dietro ciascuna delle quali alligna un serio problema democratico.

Ci sono poi tante questioni aperte anche sul versante umanistico. Come si decide qualcosa tutti insieme? Sappiamo (leggete Condorcet o Arrow)  che è ben difficile fondere tante decisioni individuali in una decisione collettiva. Il significato profondo di questi "teoremi di impossibilità" è che gli individui e la società sono incommensurabili: la seconda non è la somma aritmetica dei primi. Dunque nella dinamica sociale c'è qualcosa che trascende i soggetti (che non significa necessariamente qualcosa di metafisico o ideale, il caso va ugualmente bene). Un polling apparentemente semplice (tipo: volete stare al governo o all'opposizione?) può schiudere un baratro di indeterminatezza. Tutti gli individui annettono alla domanda lo stesso significato? Tutti gli individui hanno la stessa capacità di calcolare le conseguenze della propria decisione? Si direbbe di no. Eppure tutti i voti, qualsiasi cosa significhino, collassano nello stesso risultato.

Tutto ciò non implica che delegare le proprie decisioni ad un gruppo ristretto di politici di professione sia in ogni caso, ancora oggi, la cosa migliore. Le classi sociali ottocentesche, marxianamente determinate dai rapporti di produzione, non esistono più, e con esse si è dissolta l'idea di una rappresentanza categoricamente vincolata ad un nucleo riconoscibile e saldo di opzioni. In queste condizioni, l'autorappresentazione diventa, direi, ineludibile, e le reti sociali infatti prosperano. Ma nell'abbracciare la liquidità dei nostri tempi non bisogna farla troppo facile. La democrazia diretta fatta alla carlona può sfociare d'emblée nel suo esatto contrario.

Lavoriamoci ancora un po'.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  • guido |

    Sergio, non posso mettere ‘like’, ma il senso è quello 🙂

  • Sergio |

    Sono un “sys admin” di professione.
    Quello che c’è scritto qua è più vero di quel che sembra.
    Non solo è vero, infatti, ma è vero su più strati, fino a quello squisitamente politico del capitalismo.
    I sistemi software non hanno solo un amministratore. Hanno anche un padrone. Ne è caso eclatante Facebook, che interviene sia a censurare che a orientare i comportamenti dei suoi utilizzatori.
    Ma *tutti* i sistemi hanno un padrone e il padrone ha più diritti amministrativi del sysadmin. L’amministrazione è una matrioska che va dal fatto tecnico fino al fatto economico.
    L’unico modo sensato con cui una democrazia diretta può affidarsi alla rete è quello basato sulla fiducia. E la fiducia si può stabilire solo in piccole comunità o in un’organizzazione istituzionale, sempre che si abbia fiducia nelle istituzioni. E quindi siamo punto e da capo.
    Lo strumento, insomma, non può correggere il disastro culturale (prima di tutto culturale) in cui ci troviamo. Prima va corretto il disastro. Poi lo strumento ci sarà utile.

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