Ho assistito alla nascita della candidatura di Stefano Rodotà a Presidente della Repubblica. Tutto è iniziato con alcuni appelli lanciati in Rete da chi, anche in occasioni come l'Internet Governance Forum, ha avuto modo di familiarizzare con l'insigne giurista fondatore del Pds, il quale è uno dei pochi personaggi politici (in senso ampio e alto) che l'abbia difesa dagli attacchi e soprattutto dalla totale incomprensione della classe dirigente.
Quegli appelli sono stati captati e amplificati dai militanti-votanti dei Movimento Cinque Stelle (qualche decina di migliaia di persone) che hanno anche apprezzato l'estraneità del giurista a quella che graziosamente chiamano la "casta". A Grillo non è rimasto che sorvolare su alcune considerazioni non proprio lusinghiere che Rodotà aveva fatto in passato sul suo movimento, trovandosi in mano un'arma micidiale contro l'establishment politico attuale.
Dal canto suo, Rodotà non ha rinunciato alla candidatura, come avevano fatto Gino Strada e Milena Gabanelli, prendendo una decisione di cui certamente non gli erano del tutto ignote le possibili conseguenze, e tuttavia molto facile da dissimulare, cosa che ha fatto con un pizzico di beffarda ironia. Il resto è cronaca di oggi: davanti a una candidatura così insidiosa rispetto ai suoi equilibri interni, il partito di maggioranza relativa in Parlamento si è disgregato, aprendo il sipario su una scena politica del tutto nuova, anche se non del tutto chiara.
Insomma, una catastrofe (nel senso etimologico), iniziata col piccolo movimento di pochi atomi sociali interconnessi in Rete che, incontrandosi casualmente con altri atomi diretti altrove, è stato infine in grado di segnare le sorti di una Nazione. Non dicano, gli idealisti, che Rodotà ha solo inverato qualche necessità storica riposta altrove. Qui invece, secondo me, si vede chiaramente all'opera la parenclisi epicurea, quella che i Latini chiamarono clinamen (dalla stessa radice viene inclinazione). Cioè: l'accidente, la deviazione, non come trascurabile aberrazione del caso, ma (spiegava Lucrezio) come principio stesso della natura e di ciò che vi accade. Oggi la Rete è il luogo parenclitico per eccellenza, è un acceleratore di particelle sociali, è una natura seconda retta dalle stesse caotiche leggi della prima.
Fra i tanti paradossi che hanno caratterizzato questa vicenda, vi è questo: mentre da una parte il tempo sembra essersi fermato (per la prima volta un Presidente della Repubblica viene rieletto), dall'altra l'accelerazione impressa dalla Rete alla vita sociale e politica sembra così forte da sfuggire a qualsiasi campo gravitazionale. La velocità dunque aumenta, mentre il tempo rallenta, come se viaggiassimo su una navicella prossimi alla velocità della luce. Il che potrebbe essere anche eccitante, se non fosse che dentro la navicella ci sono le istanze sociali, e sulla terra è rimasta l'intelligenza di chi dovrebbe comprenderle.
C'è chi ha lamentato il fatto che molti dei cosiddetti "grandi elettori" abbiano votato sulla base delle suggestioni offerte da twitter. Nessuno può dire se sia vero, né se sia un bene o un male, ma bisogna accettare che la considerazione degli umori in 140 caratteri (et similia) possa essere entrata nel novero delle euristiche ammesse dai parlamentari per determinare le opzioni politiche, al pari delle telefonate dei capocorrente. Questo implica che noi tutti, mentre scriviamo post e repliche, mentre twittiamo o aggiorniamo lo stato, mentre firmiamo petizioni o propaghiamo appelli, dobbiamo essere coscienti che le nostre inclinazioni, esternate, possono esercitare un peso molto maggiore di quello che noi stessi gli attribuiamo.
Nessuno sa bene cosa sia questa specie di coscienza collettiva che si forma dall'agitarsi di tante coscienze individuali. Ma sappiamo di farne parte, e Lucrezio ci spiega che, senza questa agitazione, la natura, qualsiasi natura, non produrrebbe mai nulla.