La metafisica, da Parmenide in poi, vede il nulla come opposto all’essere: ciò che è non è possibile che non sia, cioè che sia nulla. La filosofia successiva, pur allontanandosi dalla statica idea dell’essere parmenideo, ha tuttavia mantenuto questa nozione duale: per Democrito esistono atomi e vuoto. Anche quando dà origine al tutto (ne parla per esteso Žižek) , o quando (come per Sartre) fonda l’essere della coscienza, il nulla è altro che qualcosa.
E se invece il nulla fosse proprio qualcosa? Non un ente parassitario (come i buchi di cui parla Varzi) ma un ente come gli altri, sicché qualcosa può effettivamente essere nulla? Domanda bizzarra e oziosa se riferita al mondo fisico, ma forse interessante se formulata nel terzo mondo popperiano in cui ci radicano giorno dopo giorno i media sociovirtuali. Un mondo che è un turbinio di simboli e rappresentazioni, tenuto insieme da relazioni interpersonali derealizzate e spesso farlocche.
In questo mondo, non solo il nulla è palpabile, ma è anche apprezzato. Ad esempio, tra le proprietà richieste a uomini e donne chiamati a funzioni direttive, nel privato ma forse ancor più nel pubblico, la nullità sembra tra le più rilevanti. Essere nulla, infatti, porta con sé una mirabile conseguenza: da qualcuno che è nulla, puoi ottenere qualsiasi cosa (ex nulla quodlibet). Chi è nulla porta in dote a certi consessi un bene preziosissimo, assai più delle competenze e dei saperi. Sul soggetto nullo, infatti, le organizzazioni non devono esercitare alcuna forza, né prodursi in faticose e talvolta vane manipolazioni del pensiero e della personalità. La nullità è un liquido che percola dolcemente aziende e governi. Evidente la differenza con il mediocre, con ciò che è scadente o imperfetto ma è pur qualcosa. Il nulla è spesso pregevolissimo, veste bene e parla con brillantezza, non gravato da alcun vincolo fattuale. Il tempo verbale che predilige è il futuro, che indica, appunto, qualcosa che non esiste.
Assieme alla saggezza delle moltitudini, alla costruzione collettiva delle conoscenze, all’unisono pulsare di soggetti determinati e pieni, il nostro mondo apprezza sommamente l’espressione della vuota soggettività, come quella immortalata dai selfie. Ama slogan e iperboli, e tutto ciò che rientra nella categoria della fuffa, non meno delle veraci testimonianze. Notevolmente, come fanno osservare in molti, la fuffa abbonda tra chi parla di innovazione. Non si tratta di contraddizione, e neanche di scisma. È l’ingresso sulla scena, da protagonista, dell’oggetto nullo, suprema creazione del linguaggio, che galleggia nel mare dell’umanità come gli altri, e talvolta anche meglio.