A Odifreddi, che considera la sua credenza nell'Olocausto una mera "opinione", va almeno riconosciuto il merito di aver fatto della verità un tema pop, con migliaia di appassionati interventi, e anche quel po' di trash che immancabilmente ne deriva non è un male. Non so se la tassonomia proposta dal matematico, secondo cui si dovrebbe distinguere tra verità matematiche, scientifiche e storiche, abbia qualche formulazione autorevole (a parte Leibniz, intendo). In ogni modo, secondo questa classificazione, le prime sarebbero le uniche accertabili (da chiunque abbia nozioni sufficienti), le seconde sarebbero verificabili sperimentalmente (almeno in linea di principio, e con mezzi adeguati), mentre le terze sarebbero solo costruzioni linguistiche, ricettacolo di opinioni, argilla nelle mani dei mistificatori. Credere che una cosa come l'Olocausto sia accaduta sarebbe dunque, in qualche misura, simile ad un atto di fede. E sappiamo che con la fede Odifreddi è un po' a disagio: sembra infatti che egli voglia sostituirla integralmente con la ragione (la sua), senza molti residui. Purtroppo però gli strumenti della ragione (non solo quella di Odifreddi) sono quelli che sono, e la pretesa del matematico frana spesso nel ridicolo.
Gli "atti di fede" con cui gli esser umani (matematici compresi) conducono la vita di tutti i giorni sono i più vari. Mio padre mi raccontava della sua guerra contro i nazifascisti, e io da bambino lo consideravo un eroe (così mi piace ancora ricordarlo). Chi mi dice che non sia invece rimasto imboscato in qualche postribolo? Mistero della mia fede. L'orario sul sito delle ferrovie mi dice che domani il treno partirà alle quattro e un quarto, e io mi recherò alla stazione per tempo, anche se potrebbe essere che un hacker situazionista in vena di scherzi stupidi si sia dilettato in un defacement. Che altro dovrei fare? Ciò non di meno, se qualcuno mi dicesse che una teiera è in orbita attorno a Giove, resterei, come Russell, un po' perplesso. Credere o non credere ad una proposizione narrativa, dissolvere la nebbia di indeterminazione che l'avvolge, richiede un po' di intelligenza concreta, richiede un sussulto di esistenza.
Scriveva Nicola Abbagnano che "il rapporto esistenziale con la problematicità originaria [dell'indeterminazione] è l'intelligenza che l'uomo ha si sé, nel senso che è la decisione dell'uomo di essere in conformità di se stesso". La prosa degli esistenzialisti è a volte un po' vertiginosa, ma detto in parole povere il punto è che detereminarsi, nel continuum delle possibilità, a produrre in sé un convincimento, è una necessità ineludibile, e il modo in cui ci assumiamo la responsabilità di farlo è ciò che ci caratterizza nella nostra umanità. Ovviamente decidere ci espone all'errore. Otello decise di credere al falso che Iago gli suggeriva, e cioè che Desdemona lo avesse tradito con Cassio. Il resto è la tragedia che conosciamo. E infatti quella credenza, e le nefaste decisioni che ne trasse, segna il limite umano del Moro, peraltro valente condottiero.
L'esercizio della credenza nella narrazione è da una parte un'esigenza vitale, dall'altra una cosa largamente irriducibile ai metodi formali. Cosa giustifica una credenza? Nessuno ha la formula perfetta. Ad un certo punto, bisogna decidere ciò che è vero, e in questa decisione c'è qualcosa che trascende dati e ragionamenti. Anzi, spesso i ragionamenti e le osservazioni servono a giustificare, a posteriori, una credenza che origina da motivazioni inconsapevoli. Otello crede ad un certo punto di aver udito Cassio parlare di Desdemona, ma in realtà quello parlava di un'altra donna. Il Moro aveva deciso di credere all'infedeltà di sua moglie (per rivivere ossessivamente la sua orfanità? vai a sapere), le evidenze acustiche sono venute a seguito.
Si può ragionevolmente pensare che per credere ad un fatto storico macroscopico e recente come l'Olocausto non ci sia bisogno di alcuna volontà. Ma non è così, evidentemente, se stiamo ancora qui a parlarne. Anche nel prendere atto di una drammatica e credibilissima testimonianza ci vuole una decisione, e dunque un esercizio di umanità. La verità non scatta su come un pupazzo a molla dalla scatola dell'evidenza, richiede comunque anche un'interpretazione. I logici lo sanno. Ma una volta che si è deciso che una cosa è vera, bisogna assumersi responsabilità, trarre conseguenze, essere coerenti. Mica si può dire: "ci credo, ma è solo un'opinione" e mettersi a cincischiare con argomenti sofistici. Poi finisce davvero che qualcuno ti prende in giro.