La verità è l’adeguatezza dei detti ai fatti, mentre il consenso è, per qualche detto, qualche fatto e qualcuno, l’attribuzione di tale adeguatezza. Agli antichi piacque pensare che il consenso della maggioranza fosse un criterio per stabilire la verità dei detti (argomentum ad populum) ma già al tempo si levarono proteste verso questa grossolana concezione. Gli efferati consensi che nel Novecento furono tributati alle falsità dei totalitarismi fugano per noi ogni dubbio riguardo alla tragica autonomia del consenso rispetto alla verità, eppure le teorie ‘postmoderne’ sulla verità come giustificazione mettono di fatto la verità al servizio dell’opinione, e dunque l’antico e rozzo argomentum potrebbe ricevere una moderna e raffinata veste.
L’intuizione della libertà del consenso rispetto alla verità, e della sua utilità, è alla fonte di ogni demagogia, da quella innocua dell’imbonitore a quella nefasta dei più terribili dittatori. L’idea cattolica che sulle le indimostrabili verità di Dio ci si debba persuadere piuttosto che interrogare è stata dipinta mille volte nei tripudi di putti e angeli che ammiccano dalle volte delle nostre chiese barocche. Insomma, da sempre, con diversi gradi di raffinetezza, e con le più diverse intenzioni, buone e cattive, ottime e pessime, la libertà del consenso è considerata, da chi ha voce per dire, non come una rischiosa condizione esistenziale, ma come una preziosa leva.
Se amo il web è appunto perché spero che possa ridurre i gradi di libertà del consenso.