La puntata precedente era dedicata a come gli informatici producono modelli concettuali della realtà, modelli che essi chiamano (con un po’ di sussiego) ontologie. Avevo parlato di come vi sia però una scuola di ‘pensiero debole’ anti-ontologico il cui motto potrebbe essere: taggate, taggate, qualcosa accadrà. E cosa accadrà? Accadrà che la semantica della risorsa informativa socialmente etichettata emergerà dalla pratica stessa del taggare. I maitre à penser di questa scuola non ce l’hanno in particolare con chi fa informatica in ‘sistemi chiusi’ come imprese o amministrazioni, dove bene o male i concetti di base sono chiari per tutti. Ce l’hanno, si sa, con chi vorrebbe usare i medesimi procedimenti ipotetico-deduttivi che si usano nell’informatica ‘classica’ per il Web in genere. Insomma, ce l’hanno con un certo modo ‘onto-logico’ di intendere il Semantic Web.
Il pensiero debole ha un argomento forte: per quanto ci proviamo, non riusciamo a fare quel tipo di ontologie generali, estese e largamente condivise che servirebbero per descrivere le risorse sul web. Perché? Forse perché, come ha detto il sommo Saussure, dietro alla regolarità linguistica non v’è altro che il consenso sociale. E questo è mobile (qual piuma al vento, avrebbe cantato il grande Pavarotti) dunque non patisce lacci e lacciuoli metafisici, come quelli che le ontologie si portano dietro.
Detto questo, resta al pensatore debole il problema di mostrare come le pratiche sociali (ad. es. di social bookmarking) possano produrre quelle strutture fatalmente logiche di cui la macchina ha bisogno per fare ragionamenti, per banali che siano. E qui si svela che il raffinato maitre à penser è in realtà un po’ burocrate. Il suo approccio è quello della statistica. Mettiamoci a contare: quante volte ‘pane’ viene insieme a ‘salame’? E e a ‘formaggio’? E quanto spesso a loro volta ‘salame’ e ‘formaggio’ vengono insieme? Conta e riconta verrà fuori una rete di correlazioni fra tag, una folksonomia, come qualcuno, provocatoriamente, dice. Et voilà, in forza dei numeri, le vostre risorse, foto o post che siano, entrano in un sistema di relazioni significative. Cercate un post sui panini al salame? Troverete anche, in prossimità, quelli sui panini al formaggio. Perché? Perché la gente (folks) tagga così. Grandioso. Ma funzionerà?
Anzitutto, nel chiacchiericcio della blogosfera, il ‘segnale’ semantico dovrà emergere da un ‘rumore’ fatto di varianti grafiche (inclusi gli errori), sinonimi, omonimi e tutti gli altri -nimi che la lingua ci tira addosso. Pensate al frequentissimo tag ‘cool’, che come aggettivo non dice granché e, per colmo di sfortuna, come nome significa tutt’altro. Con l’italiano ‘fico’ le cose vanno pure peggio. In secondo luogo, la co-occorrenza dovrà risalire la china di chissà quali e quante relazioni linguistiche, verbi e loro argomenti, nomi e loro specificazioni, nascoste in tutta quella sintassi che il franco taggatore butta via come acqua sporca e che però contiene molti bambini semantici che nessun computo di co-occorrenza ci restituirà mai.
Insomma, quanti conti bisogna fare per capire che ‘cool’ ‘sunday’ ‘football’ intende annotare ‘una bella partita di calcio giocata di domenica’ piuttosto che ‘una partita di calcio giocata in una fredda domenica’ ? La risposta è: nessuno, nell’accostamento di quelle parole non c’è abbastanza informazione.
Che il social web debba recuperare ciò che sappiamo della lingua e del mondo è ormai chiaro e molti hanno iniziato a lavorarci. Servirà costruire ‘risorse onto-linguistiche’ in modo sociale ma non banale, debole, forse, ma non sfiduciato. Bella sfida. E’ quella che un gruppo di linguisti, logici, ontologi, informatici italiani, tra cui indegnamente mi annovero, hanno accettato col progetto Senso Comune, martedi prossimo a convegno nell’ambito della decima conferenza dell’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale. Chi vuole accostarsi ad una prospettiva seria sul web delle parole lasci perdere tutto e venga a sentire Tullio De Mauro parlare delle Nozze di Lessico e Ontologia.