Umberto Eco: Dall’albero al labirinto. Studi storici sul segno e l’interpretazione. Bompiani, pp 575, €25
A parte il saggio iniziale di un’ottantina di pagine che gli dà il titolo, le oltre cinquecento pagine del volume di Bompiani raccolgono conferenze, interventi e precedenti pubblicazioni di Eco su una varietà di temi legati alla storia del pensiero occidentale sul ‘segno’.
Il saggio iniziale ripropone la distinzione tra ‘dizionario’ ed ‘enciclopedia’ del Trattato di semiotica generale (1975) e mostra, col solito grande display storiografico, come l’interpretazione del segno richieda estesa e labirintica conoscenza enciclopedica.
Ad un tratto però il saggio accenna ad un tema nuovo: le ‘ontologie’ nell’Information Technology. Ec0 ne parla perché con questa dicitura oggi ci si riferisce (con disinvoltura, osserva giustamente) alle strutture di rappresentazione della conoscenza e guida all’interpretazione in uso nell’industria informatica, un’industria, per inciso, da ‘billion dollars’. Eco suggerisce che le moderne ‘ontologie’ altro non siano che le classiche ‘reti semantiche’ (Quillian) o ‘grafi concettuali’ (Sowa): concettualizzazioni ‘locali’, ad hoc, pragmatiche e spesso ingenue.
Sfugge ad Eco, ritengo, un fatto importante, sul quale il lettore credo si aspetti qualche commento. E cioè che l’Information Technology ha bisogno di vera e propria ontologia, cioè di discorso sull’essente. Poi si può sostenere che l’essente sia nascosto, che nessuno sia mai riuscito a rubricalo, che sia impossibile parlarne in linea di principio, ma resta il fatto che senza di Esso nessun sistema informatico potrà seriamente interoperare con nessun altro che sia stato sviluppato in modo indipendente, per esempio sul web. Non certamente scambiando strutture ad hoc in cui non sia stipulato in qualche modo a cosa ci si riferisce. Che è quello che facciamo col linguaggio, beneinteso, ma è chiaro che i sistemi informatici industriali non possono affidarsi al ragionamento ‘sporco’, abduttivo, relativo, creativo, col quale comprendiamo, se lo comprendiamo, il linguaggio.
Questo bisogno di ontologia dell’industria della conoscenza e del web è una sfida, un paradosso, che Eco sembra non voler cogliere, né tantomeno raccogliere. In questo, a mio avviso, egli manca all’appuntamento con la contemporaneità.