Una delle tendenze della filosofia contemporanea è la verofobia, che si potrebbe illustrare con il celebre giudizio di Nietzsche: "le verità sono illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria". Richard Rotry, pensatore statunitense recentemente scomparso, ne propone una versione pragmatica: la distinzione tra ‘verità’ (nel reale) e ‘giustificazione’ (nelle pratiche umane) non ha nessun effetto, dunque faremo bene a sbarazzarci della verità. Per Pascal Engel, filosofo francese vicino agli analitici anglosassoni, bisogna invece difendere la verità (e dunque la realtà) come ‘norma’, criterio regolatore, dei nostri discorsi. Se la questione vi interessa, in un paio d’ore potete leggere un bel libretto del Mulino che è il resoconto di un confronto tra i due filosofi alla Sorbona nel 2006.
Pascal Engel, Richard Rotry – A che serve la Verità? – Il Mulino – €8
Certamente Harald Weinrich, filologo e linguista, tiene la verità in massimo conto, se si è posto il problema del ruolo della lingua nella sua negazione, cioè nella pratica della menzogna. Consiglio ancora un libretto del Mulino che si legge agevolmente e contiene anche un piccolo compendio di semantica. Se diciamo bugie, argomenta Weinrich, la lingua non ha colpe. Sembra un’ovvietà, ma il fatto è che alla lingua (o almeno a certe lingue) sono state spesso attribuite proprietà mistificatorie intrinseche, non legate cioè all’uso, ma al loro stesso meccanismo, per la vaghezza del loro lessico o la fallacia di certi loro costrutti. La difesa della lingua contro l’uso che ne facciamo (e la distinzione tra le due cose) si può leggere a mio avviso come una professione di realismo, e testimonia quanto il ‘vero’ sia saldamente radicato nel senso comune.
Harald Weinrich – La lingua bugiarda – Il Mulino – €9