Il Forum della Ricerca e dell’Innovazione a Padova ha conosciuto un momento molto alto (o molto basso, ma comunque non mediocre) ieri mattina, quando Marco Zamperini, Gianluca Dettori ed io siamo comparsi davanti ad una gremita platea di giovani per parlare del futuro della rete. Argomento immenso, così schiacciante che, in definitiva, non può essere affrontato in modo completamente serio. Sicché ci siamo accordati: a me, man-in-black IBM la parte seriosa del discorso, a loro i lazzi e le facezie. Insomma, se siamo stati un trio comico (e forse lo siamo stati) a me è toccato far da spalla. Poco male, alla fine, penso, il pubblico ha gradito lo show, e comunque ci siamo divertiti.
Tutto serio, come richiesto dalla maschera, ho parlato del percorso verso il (cosiddetto) web 3.0, o semantico che dir si voglia, dal mio punto di vista personale. E cioè un punto di vista, diciamo così, problematico, rivolto ai limiti. E’ strano che un uomo di industria vada a parlare di dubbi, ma il dubbio è compagno della critica, e senza critica non ci sarebbero né ricerca né innovazione. Mentre parlavo Marco mi mostrava il twitter di Paolo Valdemarin che dal fondo della sala sbertucciava le mie slides. Questo per dire che, anche senza semantica, la rete ormai ti insegue ovunque.
Nonostante l’atmosfera ‘easy’, o forse proprio per questa, dalla sala si sono levate domande molto interessanti e impegnative. La dialettica tra autorità e comunità, il determinismo tecnologico e la libertà umana. E benché Gianluca abbia portato un argomento in favore del determinismo, raccontando come i sistemi di dating abbiano radicalmente cambiato il suo approccio all’universo femminile (Marco ed io, devoti padri di famiglia, lo guardavamo sospesi tra riprovazione e invidia) alla fine la conclusione è venuta dal commento di un ragazzo in sala: non sono le tecnologie e determinare l’evoluzione degli usi sociali della rete, ma sono i nostri bisogni sociali ad indirizzare l’evoluzione tecnologica.