Idealizzazione + Globalizzazione = Crisi

6a00d8356fb76c69e200e551dea35588348 Qualche tempo fa avevo parlato dell’idealizzazione: il processo col quale passiamo da cose e fatti a idee e simboli, e della reificazione, che, all’inverso, conferisce esistenza concreta agli ideali. Queste operazioni di trasferimento tra piani logici diversi fanno parte del vivere quotidiano della nostra specie, e forse la caratterizzano rispetto alla maggior parte degli animali. Non possiamo fare a meno di idealizzare e reificare, eppure questi giochetti possono essere molto pericolosi.

Ad esempio: un working poor americano vuole comprarsi una di quelle bicocche prefabbricate che lì chiamano case, e chiede un mutuo. Un impegato di banca, direttive alla mano, assegna il worker ad una classe (di rischio). E cos’è una classe, se non un’idea primitiva (per dirla con Peano) ? Per inciso, la banca assegna, per battesimo ideale, la concessione del mutuo a quella classe. Ed ecco che il worker si trova ad essere raffigurato come uno che pagherà la banca nei prossimi vent’anni. La banca poi vende il credito ideale ad una finanziaria, la quale a sua volta vende l’idea di rendimento ad un consumatore lontano mille miglia dalla bicocca che il worker intanto s’è comprato. E che, in barba alle ideazioni prodotte sul suo conto, non potrà pagare.

Cosa è andato storto? E’ semplice. Le case, ancorché di cartongesso, esistono nello spazio e nel tempo.  Il worker sta lì più o meno dov’è la casa, nella sua concreta realtà di sudore e bisogno. Per valutare sul serio se egli può comprarsi quella casa dovete esserci pure voi, toccare le pareti, guardare l’uomo negli occhi. O quanto meno dovete aver visto quel tipo di case, aver conosciuto la realtà di altri lavoratori precari e sottopagati che ardiscono vivere sotto un tetto. Se invece siete a mille miglia, quella che valutate, nel caso (teorico) in cui siate informati, è l’idea che qualcuno s’è fatto di tutto quel sudore e cartongesso, che è tutt’altro genere di cosa.

Quando pecchiamo di eccessiva idealizzazione, la realtà poi ci punisce. Abbiamo idealizzato una donna: ecco che poi verrà la delusione. La realtà non impedisce all’idea malsana di nascere, ma almeno offre un’impedenza. Nel mercato finanziario globale, però, viaggiano idee, non cose o fatti. La realtà è distante e fuori gioco. Siamo soli con i fantasmi della nostra mente, crediamo a cose che sono solo parole. E il giorno in cui la realtà torna a chieder conto ormai il danno è fatto.

A questo punto si aprono due prospettive. Tornare all’impedenza: mettere i soldi sotto al mattone, rialzare le protezioni locali, provare a governare tutto e tutti. O sviluppare una nuova coscienza, la capacità di riconoscere che le parole sono parole, e a volte, come diceva Valéry, hanno delle pretese assurde.

  • Andrea |

    La virtualizzazione dei beni può avere conseguenze negative; sta di fatto però che essa è una conseguenza e allo stesso tempo una causa della cosiddetta globalizzazione dei mercati, che è, pare, uno degli strumenti con cui la “working class” dei paesi sviluppati ha raggiunto l’elevato livello di vita odierno (compresi gli effetti collaterali indesiderati, ovviamente), e forse l’unica speranza per i poveracci dei paesi sottoviluppati di mettere insieme il pranzo con la cena. Se vogliamo fare la scelta di tornare indietro, dovremo essere preparati a subirne le conseguenze.
    Comunque bella riflessione, Guido; solo leggermente rovinata dalla velata e obsoleta retorica dell’operaio sudato e sofferente; retorica purtroppo abusata, di solito, soprattutto da sindacati e parti politiche che scavano la fossa all’operaio medesimo del quale professano di essere paladini.

  • Antonello Pasini |

    Hai perfettamente ragione! In questi modi si cerca di “spalmare” il rischio su ignari “agenti” lontani che vedono solo l’idealizzazione. Solo che poi il sistema è complesso (vedi: http://antonellopasini.nova100.ilsole24ore.com/2008/10/crisi-globale-e.html ) e può succedere il patatrac…
    Antonello Pasini

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