Il libro di informatica

Mia figlia grande è in prima media. Mi hanno detto questo è l’inizio della fine, ma, come diceva quello che precipitava da un grattacielo, finora va tutto bene. Certo però che lo tsunami di libri di testo che ti si abbatte addosso in prima media è davvero impressionante. Io non ricordo nulla di simile ai miei tempi, e se la Gelmini vuole davvero ripristinare la scuola degli anni miei,  forse potrebbe partire dalla qualità e quantità dei libri e non dalla riduzione del personale docente.

I libri delle medie che ho dovuto comprare fanno mediamente schifo, gratis sulla wikipedia c’è di molto meglio. Ma ce n’è uno che si distingue per la sua nefandezza: il libro di informatica. Non dico che mi aspettavo una spiegazione della macchina di Turing, ma almeno potevano sforzarsi di far capire ai ragazzi cos’è un sistema automatico. Invece, il libro è in sostanza una versione rimaneggiata dei manuali di Microsoft Office, con tanto di nomi e cognomi dei singoli programmi: Word, Excel, etc. Roba fatta fare a qualche ragazzino complessato e messa in vendita a caro prezzo per il popolo bue.

Sono in fila col popolo bue per comprare questa robaccia. Spenderemo 2-300 euro a testa. In fila si mugugna. Perché? Perché la gente è stufa di essere presa per i fondelli? No. Si mugugna perché qualcuno informa che il Comune di Roma offre buoni acquisto per libri scolastici ai rumeni. La balla probabilmente è stata messa in giro ai tempi di Veltroni, ma forse il normotipo che abita la Capitale è un po’ tardo di comprendonio, e su tutto prevale il suo istinto razzista. Il più normale ad un certo punto confessa che lui, alla ditta, i rumeni li impiega, in nero, naturalmente.

Potrebbe un buon libro scolastico insegnare alle persone come usare un minimo di ragionamento per capire meglio certi nessi fondamentali che legano le cose? Forse sì, ma nessuno, e dico nessuno, ci vede un business.

  • Andrea |

    Scriviamo a Richard Stallman e gli solleviamo il problema? Egli è un tipo bislacco con alcune idee strane, ma spesso svolge opera meritoria a favore della libertà, della privatezza dei dati personali (chiamata ormai “privacy”, compare anche nel De Mauro; e se proprio la si deve usare, per lo meno non la si pronunci “praivasi”), e contro la tendenza che hanno le aziende che vendono programmi con codice non libero a incaprettare l’utente.

  • Fabio |

    @Guido: proviamo a gettare il sasso, domani inizio ad interpellare gli insegnanti di scuola media che riesco a raggiungere. Forse ce n’è persino qualcuno tra i miei quindici lettori.

  • Guido |

    @Fabio, l’idea non è male e non è nuova, il problema è che sono i docenti a scegliere i libri di testo, e le case editrici lo sanno bene …

  • Fabio |

    Hmmm, di certo servirebbe qualcuno che scriva in italiano meglio di me. Rileggendo, è poco chiaro quel che intendo: “testi open source” potrebbe far pensare a OpenOffice vs Microsoft Office (che comunque avrebbe senso, ma non è questo il punto) – avrei dovuto invece dire “testi pubblicati con licenza Creative Commons”.

  • Fabio |

    E’ terribile quel che si legge sui libri di informatica, già alle elementari. Come venirne fuori? Programmi ministeriali alla mano, variamo uno sforzo collettivo per scrivere dei testi open source? Farli poi stampare su qualche servizio di publishing online dovrebbe permettere di tenere in ogni caso i costi molto bassi. O, banalmente, stampando di volta in volta il capitolo che serve – e alleggerendo così anche gli zaini…

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