I linguisti la chiamano 'endofasìa': è l'uso di parlare con sé stessi, che ciascuno, nel proprio intimo, conosce bene. Non si tratta di solo dei dialoghi interiori che ci accompagnano nei momenti di solitudine, ma anche delle frasi delle comuni conversazioni, che formuliamo nella mente prima di parlare, e che talvolta, opportunamente, tratteniamo nel labbro.
Tra ideare un frase e in effetti proferirla trascorre un attimo cruciale, in cui la volontà è ancora in tempo per far sì che il pensiero non venga allo scoperto. Non essendo trasmessa nell'aria, la frase non nascerà nella conversazione e non entrerà irreversibilmente nella Storia. Voce dal sen fuggita poi richiamar non vale cantava Metastasio: quante volte ci siamo morsi le labbra per qualcosa di troppo che ci siamo lasciati sfuggire!
La tecnologia, dopo aver demolito la privacy, oggi insidia anche il dialogo interiore, questo nostro ultimo baluardo di intimità. Si legge infatti che "Il Pentagono ha destinato al progetto 4 milioni di dollari, che vanno a sommarsi agli ulteriori 4 milioni che l'esercito americano aveva stanziato un anno fa per indagare, insieme alla University of California, la possibilità della cosiddetta computer-mediated telepathy […] La tecnologia immaginata dalla Darpa dovrebbe intercettare i segnali emessi dal cervello nel momento in cui le parole vengono pensate e trasmetterle correttamente al destinatario senza passare dalla bocca."
Lo scopo dei militari è quello di facilitare la trasmissione di informazioni tra i soldati, ma io scommetto che c'è già chi pensa ad usi "civili" di questa tecnologia. Ora, non credo che l'obiettivo sia a portata di mano, anche se oggi già si riesce a pilotare con la mente semplici meccanismi. Però è un fatto che le parole si formino nel cervello e che questo, formandole, emetta alcune tracce. Dunque, in linea di principio, la macchina leggi-pensiero è fattibile, e d'altra parte se il Pentagono ci mette dei soldi…
Ora immaginiamo che la macchina ci sia. E immaginiamo che riveli il nostro dialogo interiore, che dica le nostre frasi prima che ci escano dal labbro. Che ne sarà di quell'attimo in cui la volontà è ancora in tempo per decidere se scoccare lo strale linguistico o riporre il pensiero nell'oblìo? Potrà la macchina entrare anche in quello spazio che si trova tra l'essere manifestato nel linguaggio e l'intima possibilità di non essere? Perché è proprio lì che si trova l'Io.