Quando Tim Berners-Lee iniziò a parlare di semantic web non esistevano né wikipedia, né la blogosfera, né twitter, né amazon, né ebay, né youtube, né myspace, né facebook (mi scuso con i sistemi che non ho menzionato per brevità o ignoranza). Insomma non esisteva pressoché nulla del web che conosciamo oggi. Ed il web che conosciamo oggi è ancora saldamente sintattico. Ma il semantic web, parte di un ipotetico web 3.0 prossimo venturo, ancora si attende con immutata fiducia.
Colpisce la tenacia con cui si continua a vagheggiare un web capace di accogliere i segni in tutta la loro gloria, capace cioè di manovrare oggetti che tengono insieme espressione e contenuto, come facciamo noi umani con una certa misteriosa disinvoltura. Una tenacia commovente, più forte di qualsiasi evidenza, come quella con cui Linus attendeva il grande cocomero. Non si tratta una nevrosi accademica, bensì un grande anelito sociale, saldamente radicato nella realtà industriale, sia questa pure fatta di un ammasso semicaotico di macchine sorde ad ogni invocazione.
Chi avesse un quarto d'ora da spendere potrebbe vedere questo interessante cortometraggio che tratteggia – per usare un'espressione in voga – il 'senso di questa storia' ormai più che decennale. Dopo averlo visto, una domanda sorge spontanea: ma almeno, dal secolo scorso, abbiamo fatto qualche progresso sulla strada del semantic web?
I logici hanno chiarito fin da subito che l'umane genti del web devono "star contente al quia" dei goffi "linguaggi ontologici" in cui molte cose di cui parliamo con audace disinvoltura non si possono neanche dire. Ma c'è voluto un po' per capire (e il merito è degli italiani) che molte di quelle ferrose definizioni (tipo: buon cliente = cliente che ha fatto più di tre acquisti) sono assai difficili da valutare rispetto ai mostruosi volumi di dati che ingombrano web. Il progresso teorico che c'è in effetti stato è dunque per così dire "negativo", nel senso che ha prodotto la consapevolezza di una limitazione.
E ora veniamo al progresso che non c'è stato. A chi ha avuto la pazienza di vedere il filmato, non sarà sfuggito che l'attesa del grande cocomero del web semantico risiede per lo più in una ostinata fiducia nel linguaggio naturale. Perché l'ontologia del 'cliente' dovrebbe garantire che le macchine si intendano sul cliente? Perché diamo per certo che tutte interpretino il sostantivo 'acquisto' allo stesso identico modo, così come ingenuamente crediamo che accada nel linguaggio. Ma questo in realtà è ben lungi dall'essere certo. Intendiamoci: qui non si tratta di sofisticheggiare. Non è che col linguaggio non ci si intenda, è che quando ciò accade, e accade spesso per fortuna, non sappiamo bene il perché. In queste condizioni, fare il semantic web sarebbe come far funzionare una macchina senza sapere come.
La mia impressione è che finché si confonderà l'ontologia con la significazione linguistica, con sprezzo di tanta filosofia del linguaggio, nell'orto del web il cocomero semantico non farà neanche capolino.