Pari siamo! io la lingua, egli ha il pugnale cantava Rigoletto.
La discussione sulla contundenza delle parole si è riaccesa a seguito dell'attentato subito dal Presidente del Consiglio, messo in relazione ad un "clima d'odio" a sua volta annesso al web e alle reti sociali in particolare, cioè ai luoghi deputati del dire contemporaneo. E' una discussione che oggi, sull'onda delle emozioni e all'ombra degli interessi, può sembrare un po' sospetta, ma è ben lungi dall'essere banale, e in ogni caso non si può liquidare con battute libertarie da una parte o securitarie dall'altra.
E' un fatto che la legislazione italiana riconosca i reati della parola (apologia, istigazione, calunnia) e dunque è legittimo chiedersi come questa nozione giuridica possa applicarsi a quello che oggi è il mezzo di comunicazione per eccellenza. L'auspicio naturalmente è che questa difficile domanda sia posta in Parlamento e sia seguita da un dibattito ampio e intelligente, degno della nazione civile e avanzata che dovremmo essere.
Ci sono due cose che rendono la questione particolarmente complessa: l'ineffabilità del web e quella del linguaggio. Nel web è notoriamente difficile identificare l'autore di uno scritto, distinguere le responsabilità di un sito da quelle dei suoi utenti, differenziare un riferimento da ciò a cui conduce (la rete civica romana fu letteralmente spenta a causa di un link ad un sito satanista, s'era ai tempi del sindaco Rutelli). Nel linguaggio sono in agguato iperboli, reticenze, paradossi, eufemismi, antifrasi, e mille altre trappole metalogiche che possono rendere ambigue le intenzioni dello scrivente e collocare il significato, in definitiva, nella coscienza del lettore.
Per avere un web a prova di bomba linguistica dovremmo cambiarne la natura, o metterlo sotto il controllo di un improbabile Ministero della Verità. Beninteso, dovremmo anche adottare un linguaggio formale universale, e a tal proposito io proporrei di forgiarlo dal latino. Insomma, l'impresa sembra assai ardua.
Dunque, credo che dovremmo pian piano indirizzarci verso una concezione diversa del rapporto tra la lingua e il pugnale, sul tipo di quella che si riscontra negli Stati Uniti. Lì vige un nominalismo radicale per cui l'espressione linguistica è un flatus senza conseguenze, e Rigoletto avrebbe dovuto munirsi di un fucile come tutti gli altri.