La lingua consente qualsiasi accostamento tra sostantivi e aggettivi, anche i più bizzarri. Quando l'aggettivo si trova in conflitto col sostantivo, si parla di "contradictio in adiecto". Se la contradictio è voluta per scopi retorici, allora abbiamo l'ossimoro. "Dotta ignoranza" (Agostino), "viva morte" (Petrarca), "oscura chiarezza" (Corneille), "convergenze parallele" (Moro), sono alcuni tra i più famosi ossimori. "Tecnologia semantica" è anche un ossimoro, oggi molto in voga.
La tecnologia è lo "studio teorico dei problemi generali della tecnica" (De Mauro). Letteralmente, quindi, "tecnologia semantica" vorrebbe dire "studio di problemi della tecnica del significare". La tecnica è a sua volta "applicazione pratica della scienza a fini di immediata utilità" (ibidem). Quindi possiamo dire che la "tecnologia semantica" è lo "studio di problemi dell'applicazione pratica della scienza del significare". Ora, linguisti come Leonard Bloomfield e filosofi come Benedetto Croce hanno affermato che se c'è una cosa di cui non si dà scienza, questa è proprio il significare. Certo, non è detto che si debba essere d'accordo con loro, ma si osservi che coloro i quali, nel Novecento, si sono messi seriamente a fare "teorie del significato" (es. Quine e Davidson), hanno preso strade diverse, e non le hanno neanche percorse fino in fondo.
"Tecnologia semantica" sarebbe dunque come dire "scienza del fortuito", una contraddizione in termini, appunto. Che poi si tratti di un ossimoro suggestivo, questo è fuori dubbio. Ci sono industrie grandi, medie e piccole che, teorie del significato a parte, sviluppano ad esempio tecnologie che trattano la lingua naturale. Non si pensi però che parlare di "tecnologie semantiche" sia come parlare di "tecnologie delle basi di dati". Nel secondo caso sappiamo precisamente di cosa parliamo, nel primo un po' meno.