Lamentarsi del web non serve

Caso della settimana: Gianni Riotta, riprendendo alcune recenti esternazioni del pentito Jaron Lanier, lamenta che la "poltiglia di informazione" che blog e wiki riversano nel web rischia di "distruggere le idee, il dibattito e la critica".  Sarebbe facile rispondere, come mi pare faccia anche Zambardino, che non sembra di poter dire che i media autoriali diano sempre grandi prove di idealità e spirito critico, ma questo non coglierebbe il punto. Riotta peraltro non propone di reprimere la rete, ma si chiede come la rete stessa potrebbe evitare o mitigare alcuni fenomeni degenerativi che ci sono davvero, come possa garantire una riconoscibilità delle competenze e più in genere della verità che in effetti rischia di essere offuscata dalla verbalità illimitata che si esercita in rete (qui non concordo del tutto col relativismo radicale di Antonio Larizza: il problema della verità in effetti si pone).

La risposta al quesito di Riotta non è facile, ma una cosa si può escludere di primo acchito: che la rete si possa efficacemente normare attraverso le legislazioni nazionali. Il fatto che Google voglia abbandonare il filtraggio delle mail per l'utenza cinese ne è una prova recente. Dunque, a meno di non volerlo chiudere del tutto, il web è e resterà un fatto, un oggetto sociale e materiale costruito da una sorta di immanente "volontà collettiva", o da uno "spirito del tempo" se vogliamo essere idealisti fino in fondo. Con questa volontà e questo spirito si dovranno confrontare tutte le autorità giornalistiche, editoriali, politiche, artistiche, culturali in genere, nessuno escluso. Lamentarsi del web non serve: piuttosto si cerchi di capirlo più a fondo e, se possibile, farne la storia (concordo in questo con De Biase).

Credo che a proposito nel web non si possa che ragionare in positivo: inutile chiedersi come restringerne l'espressività; utile invece chiedersi come rafforzare il senso critico di chi lo popola. Se dal web (per usare un'immagine Riotta) ci piovono addosso diamanti e cocci di vetro, dobbiamo imparare a raccogliere i primi e schivare i secondi, e non cercare (vanamente) di far chiudere le vetrerie.

L'utente del web dovrebbe anzitutto sapersi orientare tra le diverse funzioni dei linguaggi testuali e audiovisivi che ne costituiscono il materiale. Wittgenstein ci insegnò che il linguaggio è come un coltellino svizzero: è uno strumento che riunisce molte funzioni diverse. Ad esempio, saper ben distinguere i resoconti (credibili o meno) dai giudizi (condivisibili o meno) è una competenza di base del navigatore, ma è molto meno banale di quanto si possa credere. Forse a scuola si dovrebbe tornare a studiare retorica.

  • Fabio |

    (continuo) Mi piacerebbe invece che fosse arricchita da un “toolbox interdisciplinare del cittadino consapevole”: retorica, statistica,…

  • Fabio |

    Il mio era un tentativo (evidentemente mal riuscito) di ironizzare sulla scarsa attenzione riservata in genere all’educazione civica, che temo esista solo negli elenchi dei libri di testo.

  • Guido |

    Certo che la retorica si studiava, già dai tempi dei sofisti. I latini la perfezionarono, e nel medioevo fece parte delle discipline scolastiche fondamentali (il cosiddetto ‘trivio’). L’800 la svalutò, ma a torto, poi venne il logicismo ingenuo che in qualche modo vige tutt’ora.

  • Fabio |

    Certo che a scuola si dovrebbe tornare a studiare retorica! Dovrebbe far parte del programma di educazione civica, ammesso che sia mai esistita la materia e non sia un ricordo generato a posteriori.

  • Alessandro Oltramari |

    Ho letto anch’io l’articolo di Riotta e devo dire che mi ha lasciato un pò perplesso per la superficialità. Caratteristica tutt’altro che propria degli articoli di Riotta. Concordo con la tua chiosa, Guido. L’emergenza e l’autocoscienza come “singolarità” dell’individuo nel web è l’elemento nuovo, spontaneo, che nessun limite imposto convenzionalmente può arrestare, come scrivevi in un post precedente.

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