Reati di parola al tempo di Facebook

Mouth-lock

Lo scrittore e senatore Gianrico Carofiglio ha recentemente donato al valente ma ignoto critico Vincenzo Ostuni quel quarto d'ora di celebrità di cui tutti, secondo Andy Warhol, prima o poi godremo. Questo per aver Ostuni detto, sul suo profilo Facebook, che Carofiglio è uno 'scribacchino mestierante', ed essersi attirato con ciò un'eclatante querela (per concorrenza sleale, ohibò) da parte dello scrittore, con annessa bagarre letterario-mediatica come non se ne vedevano da tempo.

Pochi giorni fa una ragazza di Livorno è stata condannata per le ingiurie rivolte su Facebook al suo ex datore di lavoro, e la sentenza ha innovativamente (che è questa l'innovescion che si fa nel nostro Paese, altro che Agenda Digitale) omologato Facebook a mezzo di stampa, con annesse le aggravanti di legge a carico del calunniante. Risultato: ammenda di 4.000 euro.

E' in questi giorni in discussione una nuova legge sulla diffamazione mediatica, che ha il precipuo scopo di evitare al giornalista Sallusti i rigori del carcere, dopo le menzogne da lui fatte pubblicare su Libero e condannate in Cassazione, legge nella quale taluno (pare) vorrebbe anche metter mano alla questione dei blog e delle social network. Altri dicono che è il momento di fare una seria riflessione sui reati di parola al tempo in cui gemmano rigogliosi mezzi di comunicazione che, nell'epoca in cui furono redatti i nostri codici, non potevano neppure essere immaginati.

Non oso neppure intaccare la superficie di una così grossa questione in queste poche e rozze righe. Dico però che alla riflessione dovrebbero essere invitati i filosofi. Essa infatti riguarda il rapporto tra parola e realtà (se ce n'è una), l'effettualità dell'atto linguistico, la reputazione personale come diritto, in un intreccio di semiologia, ermeneutica, epistemologia, sociologia ed etica che fa venire il capogiro. 

A mettere in mezzo i filosofi c'è però il rischio concreto che ne scaturisca una disputa senza fine. Un pragmatista potrebbe mettere la questione in questi termini: quanto pesa una calunnia su un giornale? Quanto su un blog? Quanto su una rete sociale? Un realista (classico) potrebbe obiettare che dal punto di vista della adequatio di parole e fatti tale aspetto è irrilevante. Non so se i "nuovi realisti," che si intendono di oggetti sociali (quelli in cui sicuramente rientrano le calunnie), abbiano qualcosa da dire in proposito, ma è certo che questa sarebbe una bella occasione per far vedere quello di cui sono capaci.

Di sicuro, oltre a misurare il peso di una paola calunniosa (forse in termini di diffusione, di intenzionalità, o di veridicità), bisognerebbe misurare anche il peso della sua sanzione, anche in relazione al mezzo di comunicazione, all'economia e alla sociologia ad esso sotteso. Abbiamo detto che il carcere per un direttore di giornale che pubblica menzogne confezionate in incognito da un professionista del falso al fine di montare una polemica ideologica a scapito della reputazione di alcune persone (fattispecie che qualcuno ha graziosamente definito "reato di opinione") è eccessivo. Bene, forse però è eccessiva anche un'ammenda di quattromila euro al ragazzino che scrive fesserie su Facebook. Anche perché quello in tasca non ha i milioni del suo editore-politico. Per capire questa cosa non ci vogliono i filosofi: gli editori-politici l'hanno già capita benissimo.