Bentornata realtà virale

Qualche anno fa alcuni pensatori proponevano un ritorno al realismo, cioè in breve all’idea che le nostre coscienze debbano conformarsi alla realtà, e non viceversa. Questo presuppone ovviamente che la realtà non sia il contenuto o il prodotto della coscienza, che l’ontologia non sia una scienza cognitiva, né sociologica, né linguistica. Ciò appare ben rappresentato dal fatto che la fisica, la biologia e le scienze dure in genere non tengono affatto in conto il senso comune e il linguaggio ordinario, anzi spesso ci si scontrano. Il modo in cui le coscienze individuali e collettive si rapportano con ciò che è fuori da esse resta un problema filosoficamente aperto. Senza sminuire questa apertura, oggi possiamo tuttavia osservare, dal chiuso dei nostri appartamenti, come una realtà invisibile, il virus COVID-19, si trovi ad esercitare una formidabile pressione sul pensiero delle persone e delle società.
Il virus sta in effetti agendo come un bagno di realtà. L’idea che la pandemia fosse un artificio narrativo mosso da interessi e scopi, che s’era affacciata in qualche intervento filosofico e politico della prima ora, appare oggi accantonata e deprecata. I costruttivisti radicali, i debolisti, i nichilisti e gli antirealisti in genere, quelli per cui non ci sono fatti ma solo interpretazioni, si trovano anch’essi ben chiusi nelle loro biblioteche ed escono con la mascherina come tutti gli altri. Quando la morte bussa alla porta, l’adaequatio rei et intellectus appare  come un’opzione da rivalutare.
Anche gli attacchi più subdoli al senso della realtà che nei tempi più recenti sono stati portati attraverso i mezzi di comunicazione sociale, cioè le fake news, sembrano accusare il colpo della realtà virale. Non che non circoli più alcuna bufala, ma l’attenzione sociale alla provenienza dell’informazione sembra essere molto più alta che in passato, trattandosi di questioni di vita o di morte che riguardano tutti personalmente e da vicino.
Se è vero che l’epidemia non è affatto una livella sociale, perché chi ha risorse ha più possibilità di cavarsela e fa comunque una vita migliore, è tuttavia indubbio che sia una livella epistemica. Anche gli antivaccinisti più irriducibili non vedono l’ora di iniettarsi un vaccino per il COVID-19 perché anche loro, nel momento estremo, si affidano alla scienza e ai suoi metodi. Non c’è più nessuno che non abbia ormai dimestichezza con progressioni logaritmiche ed esponenziali, che non abbia compreso cos’è un campionamento, che non sappia cos’è una regressione. Il prestigio sociale della statistica è al suo massimo storico, e con essa la consapevolezza dell’importanza dei truthmakers, cioè di quello che verifica lo stato delle cose, così ben esemplificati dai tamponi.
L’epidemia, cioè la morte sistematica, restituisce così quel senso del sacro senza il quale la parola vaneggia (forse Agamben avrebbe potuto più utilmente richiamare questa sua lezione). Un sacro non trascendente, con tutto il rispetto per la fede, ma immanente nella perdita dei nostri cari e nella compressione delle nostre vite.
Bentornata realtà, dunque, anche se ti apprezziamo maggiormente sotto la tua sferza.