Tutto mondo ne parla: un computer può battere gli esseri umani nei giochi a quiz. Banale? Tutt'altro: questi giochi infatti richiedono la comprensione del linguaggio naturale e il richiamo di complesse conoscenze dalla memoria. Si tratta di ciò che gli esseri umani fanno tutti i giorni nella loro vita pubblica e privata. Fino alla scorsa settimana, queste capacità erano ritenute al di fuori della portata dei computer. Poi, la vittoria di Watson a Jeopardy! il più popolare gioco a quiz statunitense.
Ora, immaginate un medico che può descrivere il suo caso ad una macchina in possesso di tutta la conoscenza umana sulle patologie note, o un avvocato che ha un sistema per richiamare (con la massima precisione) tutta la giurisprudenza sul caso del suo cliente. Varcata la soglia del linguaggio, al computer si schiudono infinite possibilità. A giudicare dai risultati, Watson quella soglia l'ha varcata. Si capisce allora quale sia l'eccitazione degli informatici, la curiosità dei filosofi, la preoccupazione di tutti gli altri. Per mantenere eccitazione e preoccupazione nei giusti limiti, diamo ora spazio alla curiosità.
Watson comprende il linguaggio? Dipende naturalmente da ciò che intendiamo per 'comprendere', questione lungamente dibattuta in Intelligenza Artificiale. Se si tratta di riprodurre quello che realmente avviene nel cervello quando comprendiamo qualcosa, allora Watson non capisce proprio nulla: non c'è niente di più diverso da un cervello di quanto lo siano le migliaia di processori e i 15 terabyte di memoria che formano il sistema IBM. Se per 'comprensione' s'intende invece il passaggio dal piano dell'espressione linguistica al piano del contenuto concettuale (qualsiasi cosa questo sia, anche, ad esempio, una 'teoria dell'esistente' opportunamente codificata, cioè, come si dice, un'ontologia), Watson capisce in effetti qualcosa, ma ancora solo alcuni frammenti di quanto normalmente siamo in grado di fare noi umani. Se si tratta infine di esibire il medesimo comportamento di chi, per definizione, 'comprende' (questa era ad esempio la posizione di Turing) allora Watson 'comprende' con ottima approssimazione.
Watson tratta il linguaggio con una buona dose di pragmatismo comportamentista, come quel signore che, nel classico saggio di Searle, rispondeva in cinese senza capire neanche un ideogramma, usando una procedura meccanica di associazione da simboli a simboli. Al tempo di Searle quello era solo un esperimento mentale, oggi questo è il modo in cui funzionano molti sistemi di trattamento del linguaggio. Cosa c'è dietro a una scelta così 'debole'? Il linguaggio non è retto dalla grammatica che abbiamo imparato a scuola, a cui si applica un lessico di qualche migliaio di parole? Perché allora non basta mettere questo codice nella macchina?
La nostra competenza linguistica è essenzialmente pratica: la stragrande maggioranza di noi usa la lingua con efficacia pur avendo dimenticato la grammatica imparata a scuola. E' vero: la lingua sembra un calcolo, ma se la guardiamo bene, vediamo che si tratta di un calcolo molto strano, in cui gli operatori cambiano funzione a seconda dei numeri su cui si applicano, e i numeri stessi significano cose diverse a seconda della posizione che occupano nell'espressione. In un sistema di calcolo del genere (se ancora si può chiamare calcolo), ciò che bisogna imparare è una grande quantità di casi particolari. Grande quanto? Difficile valutarlo, anche perché, mentre parliamo, la lingua inventa casi sempre nuovi.
Il linguaggio, a differenza dell'algebra e della musica, verte sul mondo che ci circonda, ed è il principale strumento con cui lo socializziamo. Wittgenstein diceva che la lingua è come una cassetta di bricolage, con un attrezzo per ciasun tipo di operazione. Il problema è che questa cassetta è in realtà un intero magazzino di ferramenta, così vasto da scoraggiare chi voglia farne un inventario completo. Inoltre, l'inventario che ci interessa non è solo quello degli attrezzi, ma anche quello degli usi (spesso creativi ed estemporanei) di questi attrezzi nei concreti contesti linguistici ed extralinguistici.
Il computer entra in questa complessa scena perché ogni fatto linguistico di qualche rilievo lascia traccia nei testi. Ed è sulla capacità di analizzare enormi quantità di testi che si basa la strategia di un computer come Watson. Se c'è una regolarità, per debole che essa sia, questa si può catturare con procedimenti di analisi statistica, per i quali il computer è davvero imbattibile. Ma è chiaro che la statistica non è comprensione: è semmai la strada per eseguire compiti linguistici in assenza di comprensione. I compiti linguistici che possono essere svolti così da un computer sono già molti, e già da tempo glieli affidiamo volentieri. Watson riesce in questi compiti così bene da prefigurare un salto di qualità. Fare effettivamente questo salto, su larga scala e per applicazioni di pubblica utilità, è una partita ancora tutta da giocare.