Realpolitik

Tempi di crisi. Invece del solito gossip, la stampa ferragostana ci ha offerto un austero dibattito tra Gianni Vattimo ed il suo ex allievo Maurizio Ferraris. Oggetto: la crisi del "pensiero debole" postmoderno caro a Vattimo e l'avvento di un "nuovo realismo" (con annessa ontologia) propugnato da Ferraris.

La discussione, che è di quelle classiche in filosofia, ruota attorno alla nozione di "verità". In due parole, mentre il postmoderno vuole disfarsene all'insegna del motto nietzschiano "non esistono fatti, ma solo interpretazioni" (che rende la nozione inservibile), il neorealista vuole riprendersi la verità, e con essa i fatti della realtà (o viceversa).

Queste dispute tra scettici e fiduciosi si trascinano da quando è nata la filosofia, i manuali ne traboccano e non è il caso di insistervi qui (ma leggete Flores d'Arcais). La cosa interessante è che, in Italia, il sempiterno dibattito si colora di una sfumatura politica che altrove probabilmente non ha. Franca D'Agostini, nel suo recente Introduzione alla verità (Bollati Boringhieri, 2011) scrive:

In particolare in Italia, la concitazione e la confusione all'interno del dibattito pubblico recente sono interpretabili e sono stati interpretati anche come dissesti relativi all'uso e alla pratica della nozione di verità

E' fresca la memoria degli editoriali del compianto Giuseppe D'Avanzo, uno dei protagonisti, assieme a Saviano, del dibattito a cui allude la D'Agostini.

All'origine e al centro del dissesto della verità in Italia, inutile girarci intorno, c'è Berlusconi, ne avevo scritto anche qui.

Dice Ferraris:

Il mondo vero certo è diventato una favola, anzi è diventato un reality, ma il risultato è il populismo mediatico, dove (purché se ne abbia il potere) si può pretendere di far credere qualsiasi cosa.

Ecco il punto: Berlusconi ha senz'altro mostrato che un "effetto verità" si può generare nella testa della gente col metodo goebbelsiano di ripetere fandonie fino alla nausea, con questo confermando, dal punto di vista dell'adeguatezza descrittiva, ciò che dicono i postmoderni, e cioè che la verità è una costruzione del potere. Ma, obiettano i neorealisti, tutta questa costruzione crolla come un castello di carte quando alla fine ci si trova a contatto con ciò che è fuori dal linguaggio, cioè con la realtà. Insomma, per risolvere la crisi economica non basta dire che non c'è. E se qualcosa può distruggere una costruzione goebbelsiana (ad esempio una guerra) allora è evidente che queste non tengono tutto il campo, che là, oltre la narrazione, c'è effettivamente qualcosa.

Il nuovo realista è appunto convinto che proprio la realtà, per esempio il fatto che è vero che il lupo sta a monte e l’agnello sta a valle, dunque non può intorbidargli l´acqua, sia la base per ristabilire la giustizia (Ferraris).

Insomma, la verità, proprio come l'adaequatio rei et intellectus di scolastica memoria, è la rivoluzione che dobbiamo fare. Meno sanguinosa di quella libica, ma senz'altro non meno problematica. 

 

 

  • marcolinorules |

    Che belle parole da leggere, prima di andare a dormire. Grazie!

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