La diabolica consistenza della falsità

Santoro-Berlusconi-infophotoNove milioni di telespettatori (tra cui, per una volta, me) hanno assistito l'altra sera allo spettacolo gladiatorio offerto da alcuni tra gli ego più estesi che abitano il nostro Paese: Berlusconi, Santoro, Travaglio. Il popolo, pressoché unanime, ha tributato il trionfo a Berlusconi, la cui ferrigna e tetragona autostima è apparsa indenne all'aggressività e al sarcasmo degli altri due. Comunque, grande spettacolo, anche se, a parità di contenuto politico, francamente preferivo i tre tenori, quando in un problematico unisono cantavano "la donna è mobile". 

Ripulita l'arena televisiva di La7 dal sangue finto versato nello spettacolo, al fondo non ci si è trovato neanche un bit di informazione. Questa, teorizzava Shannon, è novità, è imprevisto. Nessuna delle vecchie domande, invece, ha mancato l'appuntamento con la vecchia risposta: tutto già scritto, corretto e interpretato da più di vent'anni, in un serial televisivo tra i più monotonamente longevi.

L'approccio in stile fact-checking, applicato ad un virtuoso del falso come Berlusconi, ha ben mostrato le difficoltà dell'epistemologia nei confronti della retorica. Il Cavaliere ha una balla per tutto, e tutte si tengono insieme in una narrazione coerentemente fasulla. A poco vale elencarne le fallacie, andare alla ricerca dell'adaequatio rei et intellectus, la coerenza interna della falsità produce immancabilmente l'effetto del credibile. Lo spiegano bene i cognitivisti come Daniel Kahneman: nel pensiero veloce (e immancabilmente distratto) che applichiamo alla bagarre dialettica, andiamo alla ricerca del frame, del modello precostituito, non (faticosamente) del vero. Per questo, gli stereotipi funzionano a meraviglia: il complotto straniero, il giudice comunista, la brava ragazza ingiustamente accusata, il padre di famiglia, l'imprenditore di successo. Ingranaggi dell'immaginario perfettamente oliati, che funzionano anche (e soprattutto) in assenza di qualsiasi rapporto con la realtà.

Mentre la logica classica dice che una sola falsità dovrebbe provocare il rigetto di un intero discorso, è facile vedere che, nel territorio del falso, i rapporti interni tra le proposizioni giocano un ruolo cruciale. Un corretto nesso causale tra due balle crea un effetto di verosimiglianza a cui l'intelletto non si sottrae. Contro i risultati della logica, discussioni come quelle dell'altra sera mostrano che la falsità ha una sua diabolica consistenza.  

 

  • guido |

    Caro Paolo, secondo me i logici farebbero bene a tralasciare i paradossi che riguardano le umane credenze, tipo “piove, ma non ci credo”. La consistenza logica non fa parte del nostro programma biologico evolutivo, ma della nostra etica e della nostra cultura, dove non opera alcuna necessità. Non deve sorprendere che applicare la nozione alla sfera linguistica e psicologica sia così complicato (e forse vano). Personalmente, ritengo che credere in proposizioni auto-contraddittorie, o accettarle nel discorso, non sia razionale, ma umano. Grazie per i commenti.

  • Paolo |

    Grazie Guido, ma concedimi che so applicare una tavola di verità a P1 e P2 e…Pn, cosi’ come mi e’ giunto all’orecchio del “ex falso”. Forse non hai colto il mio punto: io non parlavo di verità della congiunzione, ma del credervi razionalmente, come nel paradosso menzionato, e come sviscerato dagli autori citati. Qui si parla di appunto congiunzione, non di implicazione, e sottolineavo solo come sapere che una o più affermazioni non sono vere, senza sapere quale, non basta per “il rigetto di un intero discorso” di cui parli. Se poi non convieni che sia razionale credere posizioni auto-contraddittorie, è un’ottima occasione per un ‘post’ sull’ american phil. quarterly 😉

  • guido |

    Paolo, nella logica classica, P1 e P2 e … Pn è totalmente falsa anche se una sola tra le P è falsa. E da una sola contraddizione può seguire ciò che si vuole. Quanto all’umana disponibilità a commerciare intelletualmente con l’incerto o anche con il falso, con me sfondi una porta aperta, ed è esattamente il punto di questo post.

  • Paolo |

    Ciao Guido,
    Non entro nel merito della retorica da politica-spettacolo, di cui il cav e’ solo l’ultimo epigono, o nell’annosa questione sul ruolo della plausibilità come criterio di verità laddove è impossibile la verifica. Ma non concordo assolutamente con la tua affermazione che «la logica classica dice che una sola falsità dovrebbe provocare il rigetto di un intero discorso»; questo è notoriamente falso!
    Sono certo che conosci il ‘paradosso della prefazione’, e probabilmente anche i lavori di J.N. Williams o Foley sulla perfetta liceità razionale di credere posizioni inconsistenti o auto-contraddittorie. Inoltre le idee di Bishop sul ‘principio di onniscienza’ indicano che estendere la verità ‘classica’ di predicati a quella di quantificatori applicati ad essi è arduo senza ‘sapere’ qualcosa che non possiamo verificare. Tutto questo rende legittime affermazioni ben più ardite di quelle del cav!
    Poi Guido, detto tra noi: già la logica arranca nell’epistemologia… figuriamoci nei dibattiti politici! 🙂
    Cordiali saluti

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