Esistenze nella Rete

Da qualche anno, di tanto in tanto, riecheggia nella cattedrale mediatica nazionale la salmodia delle "regole del Web". Si tratta di un responsorio in cui la voce solista di qualche politico o intellettuale intona una lamentazione sugli abusi e le brutture diffuse per lo più sui social network, invocando (in un futuro imprecisato ma ineluttabile) leggi e controlli dagli oscuri contorni, ed un coro di congregati internettiani risponde che la Rete è un mezzo di comunicazione come gli altri, e leggi e controlli speciali non sono né desiderabili né praticabili. Da ultimo, stentoreo, s'è levato il canto di Roberto Saviano, a cui, dalla congregazione internettiana, hanno risposto tra gli altri Mantellini e la Ciccone.

A spezzare la noia di questa liturgia giunge talvolta una nota interessante, un po' più acuta. Mi ha colpito ad esempio quello che ha scritto Mantellini, che io interpreto e sintetizzo così: Internet non è un luogo, ma una scelta. Ognuno cioè ne ricava ciò che vuole, ed è in grado di tenere il proprio spazio mediatico al riparo da certe nefandezze. Se Internet è una scelta, e il modo in cui ci informa è una costruzione della nostra libera volontà, sembrerebbe evidente che qualsiasi idea di farvi valere per tutti alcune regole generali si possa configurare come una manipolazione di carattere dittatoriale.

Questa visione della Rete ha per me il grande fascino dell'esistenzialismo positivo, quello del libero impegno verso una struttura di co-esistenza. Un fascino che però non è mai riuscito a prendere corpo in una piena convinzione. Sempre, quando si ha a che fare con la volontà, ci si trova davanti a quello che i geek informatici chiamerebbero un problema di bootstrap.  Come e da cosa prende avvio l'umana decisione? Dove origina? Sappiamo che l'esistenzialismo dei primordi sfociò in un certo misticismo, e molto di quello più recente esplorò un vicolo cieco.  L'idea della costruzione di una struttura condivisa, liberamente scelta, lascia aperto il problema dei contenuti: il fedele impegno verso un costrutto esistenziale dice poco sulla qualità di quest'ultimo, alla fine stiamo da capo a dodici. Siamo liberi di costruirci la nostra Rete, dunque anche, collettivamente, una Rete di insultanti fandonie.

Detta in due parole, l'idea chiave dell'esistenzialismo è che l'esistenza precede l'essenza. A guardar bene, quest'idea non milita chiaramente a favore del laissez-faire. E' vero che saremmo liberi di scegliere la verità in un diluvio di balle, ma a meno di non considerare la volontà come una variabile totalmente indipendente (in odore di metafisico idealismo), bisogna ammettere che le situazioni concrete in cui ci troviamo immersi contano, eccome! Potrei essere per natura l'uomo più probo della terra, ma se tutti i santi giorni mi trovo nello stream un garrulo corteo di inviti a visitare siti equivoci, state a vedere che una volta ci casco. Proprio perché non ho un'essenza che determina la mia esistenza, ciò che mi accade tutti i giorni ha una certa qual rilevanza nelle mie scelte.

Non è con l'appello alla libertà di scelta che si possono far tacere le voci stonate dei castigatori della Rete, così come, a chi propone di limitare l'abuso del corpo femminile nei media, non si può rispondere solo con sofisticati ragionamenti libertari. Una co-esistenza di migliore qualità è il risultato storico della politica, che è sempre e comunque un tentativo empirico.

 

 

 

 

  • La Fru |

    Caro Guido, sei proprio sicuro che non esista alcun macrodisegno in grado di determinare le microvolontà del pianeta? Sei proprio proprio sicuro di questo? Non sono una complottista, per carità, ma nemmeno un’heidi (checché se ne dica…). Le microvolontà del pianeta vengono sempre, in qualche modo, monitorate — non dico “manipolate” per non (s)cadere nel complottismo — ma in ogni caso influenzate da decisioni prese “in separata sede”. Di stanze dei bottoni è pieno il mondo. E questo mi riporta a internet, e alla gestione dell’informazione. Prendi questo paese. L’informazione è libera in questo paese? Accompagno la domanda con l’espressione dei visi che vogliono enfatizzare la portata retorica di una domanda. Il macro tende sempre a lavorarsi il micro. L’abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, l’abbiamo avuto sotto gli occhi per millenni. E no, la Storia non sarebbe finita qui: del resto se ti chiedo “chi fa la Storia?” tu giustamente mi risponderesti “la Storia la fa chi la scrive”. E chi la scrive, la Storia? I micro?
    Scuoto il capo per esprimere sia il dissenso, sia la retorica di quest’altra domanda… 😉
    Ma sulla libertà come condizione che va gestita politicamente sono d’accordo con te — così non devi più essere orrendamente geloso di Mantellini. 🙂

  • guido |

    Cara Fru, premesso che io non ho alcuna autorità filosofica (né autorità d’alcun tipo) ti faccio notare che mentre dici di preferire Mantellini (causando la mia orrenda gelosia) le tue ‘impressioni di pancia’ sottoscrivono in pieno la problematicità del mio post. La libertà non è una soluzione, è una condizione che va gestita politicamente, questa potrebbe essere la sintesi, ti piace? Permettimi anche di dirti affettuosamente che non esiste alcun macrodisegno in grado di determinare le microvolontà del pianeta. Se ci fosse, la storia sarebbe finita qui, non credi?

  • La Fru |

    Quindi se ho capito bene tu non sei né per i fustigatori alla Saviano –che teme catastrofi e ipotizza codici della strada per internet– né per il 100% libero arbitrio proposto da Mantellini e l’assunzione di responsabilità da parte degli internauti.
    Da dove nasce la volontà?, ti chiedi. La domanda da fare potrebbe invece essere, che cosa determina la volontà? Cosa mi fa scegliere quella notizia, quel sito, invece che un altro? Il discorso sulla volontà del singolo, secondo me, va inserito in una riflessione sui macrodisegni tracciati dai grandi poteri politico-economici che muovono marionettisticamente le microvolontà del singolo.
    “Potrei essere per natura l’uomo più probo della terra, ma se tutti i santi giorni mi trovo nello stream un garrulo corteo di inviti a visitare siti equivoci, state a vedere che una volta ci casco. Proprio perché non ho un’essenza che determina la mia esistenza, ciò che mi accade tutti i giorni ha una certa qual rilevanza nelle mie scelte”.
    Ah certo, ce l’ha eccome, la rilevanza! Ma la premessa di questo discorso rischia la deriva giustificazionista. Come dire, ah be’, se sull’autobus mi si presentano tutte queste ragazzine vestite di poco o nulla, vuoi che una manomorta non muoia sul promontorio di qualche tenero sedere? No. Se sminuiamo il potere della volontà personale, siamo portati a ergere il “laissez-faire laissez-passer” a modus operandi et vivendi, e a sostenerlo. Proprio perché l’esistenza precede l’essenza la nostra volontà è investita di un ruolo formativo e (in)formante… Che poi vale anche per l’uso di internet.
    Quindi mi sa che mi avvicino a Mantellini: sono convinta che sì, internet non sia tanto un luogo, quanto “il risultato di una cartografia personale”, ed è proprio questo il grande vantaggio, e allo stesso tempo il preoccupante svantaggio, della rete: la libertà totale, e la responsabilità che essa comporta. Quando l’uomo è posto davanti alla libertà totale spesso risponde dimostrando reazioni regressive …un po’ come succedeva nelle ex-colonie del Commonwealth: quando raggiungevano l’indipendenza, prima finivano nel caos e poi si infilavano in dittature simili alla dominazione colonialista…penso per esempio alla Nigeria. Oppure ad Haiti, in ottica d’impero francofono.
    Ma qui si aprirebbe un altro mega discorso sulla responsabilità della libertà…. Sul controllo dei contenuti online, non credo molto. Internet è come una biblioteca. Anche lì, in biblioteca, trovo Dante, gli Harmony e il Mein Kampf. Non confondiamo l’accessibilità all’oggetto con l’oggetto e la sua scelta, che spetta solo a me… Sta a me evitare le “insultanti fandonie”. E’ il prezzo che dobbbiamo pagare per vivere questa società del 5.0. (o 6?!?) E non mi pare il peggiore dei prezzi.
    Bah, calcola che queste sono mie impressioni abbastanza di pancia… Io non ho l’autorità filosofica per costruire un discorso strutturato come il tuo… 🙂

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