Oggetti sociali

Quest’estate ho portato con me un nuovo libro di Maurizio Ferraris: Il tunnel delle multe. Ontologia degli oggetti quotidiani (Einaudi). Per spiegare il titolo bisogna entrare nel merito nient’affatto banale del libro: si può applicare la metafisica agli oggetti e alle circostanze del nostro vivere quotidiano? Questione molto interessante per l’Information Technology, sempre affamata di ontologia.

Il 21 Gennaio 2004, al mattino, il Prof. Ferraris, docente di Filosofia teoretica all’Università di Torino, percorreva il traforo del Monte Bianco a palla di cannone per andar a fare lezione a Ginevra. I due autovelox colà situati, l’uno italiano, l’altro francese, con poco rispetto per gli onori accademici, lo immortalavano. Quante multe beccava il Prof.? Due, ovviamente. Ma, obietta il metafisico, l’atto di violare un limite di velocità non può essere partizionato a piacimento e moltiplicato per un numero qualsivoglia di autovelox, pena la caduta in un paradosso del continuo per il quale il Prof. avrebbe potuto essere multato infinite volte. Né i poliziotti italiani né quelli francesi, però, si sono bevuti l’argomentum, o tempora!

Fatto di aneddoti gustosi e considerazioni di costume, il libro, in stile blog, si legge bene e vale tutti i suoi 12 euro e mezzo. La finalità di tutta la trama di narrazioni del libro è in una postfazione dal titolo: Quisquilie e quiddità, che si può trascurare senza nulla togliere al gusto degli aneddoti di cui sopra, ma che offre ai cultori un’esposizione chiara di un’audace posizione realistica: gli oggetti sociali (mode, usi, riti, convenzioni) esistono per davvero. E non esistono banalmente come classi di fenomeni spazio-temporali, bensì nel pieno di una riconoscibilità tipologica. Ferraris infatti ritiene che i costrutti della cultura si formino mediante l’istanziazione di Archetipi, in tutto simili alle Idee platoniche (parole dell’autore), tranne per il fatto di non risiedere nell’Iperuranio, ma nella Società.

Sarebbe bello poter redigere una lista di questi Archetipi, un’ontologia del quotidiano, ed è quello che materialmente si tenta di fare ogni giorno col Semantic Web. Ma – io dico – se gli Archetipi esistono nella Società, allora sono anch’essi costrutti della cultura, dunque istanzianzioni di Archetipi, e così via all’infinito. Se invece la regressio si ferma, allora devono esserci gli Archetipi di tutti gli Archetipi, e questi, non essendo nella Società, non potrebbero che essere idee iperuraniche. In tal caso, tutti gli oggetti sociali, in nuce, esiterebbero già, sarebbero sempre esistiti, esisterebbero sempre, e dunque non sarebbero oggetti sociali. Assurdo.

Si deve dunque concludere che gli oggetti sociali iper-esistono o non esistono affatto? Entrambe le posizioni non sembrano soddisfacenti. Forse qui abbiamo qualche problema con la nozione stessa di esistenza. Gli informatici siano avvertiti …

 

  • Guido |

    Kant risolse la questione parlando di condizioni trascendentali dell’intelletto, di nozioni a-priori di spazio e tempo. Però si rivolgeva alla questione degli oggetti fisici, mentre qui il problema è quello degli oggetti sociali, che non sono localizzati nel tempo e nello spazio. Secondo me non ci sono archetipi, ma solo principi generali di gererazione e trasmissione come appunto per i ‘meme’ di Dawkins che tu giustamente richiami.
    Grazie per il commento.

  • Dino |

    Secondo me gli Archetipi, e le istanze culturali che ne derivano, esistono nella Società e grazie alla Società. Ossia esistono perché (e finché) c’è qualcuno che le pensa, le sviluppa, le applica, le tramanda, ecc. Non esistono più se vengono dimenticati: un’amnesia collettiva dell’umanità sarebbe sufficiente per far sparire la sua cultura. Questo vale anche nell’ipotesi che esistano degli Archetipi “irriducibili”. Al pari degli altri infatti, questi sono “espressi” nell’umanità, e pertanto “esistono” per l’uomo e con l’uomo. Ma c’è una cospicua parte dell’umanità che la pensa diversamente, che aderisce più o meno consapevolmente alla visione di un tendere, di un ricondurre all’infinito di ogni istanza culturale verso un Archetipo metafisico, verso la Divinità insomma. Mi viene da osservare allora che, dal momento che ogni istanza di questa successione tendente verso la Divinità resta comunque nel dominio umano, allora è come se Dio avesse bisogno di noi per esistere. Questa visione “memetica” della Divinità è ereticissima! 🙂

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