Erano i primi anni '90 quando Verner Vinge raffigurava il progresso tecnologico come qualcosa che, essendo in continua accelerazione, avrebbe raggiunto entro una trentina di anni una sorta di "punto di rottura" che egli volle chiamare singolarità tecnologica (in ossequio ad un noto concetto matematico) per il quale l'intelligenza artificiale avrebbe soppiantato il genere umano. La singolarità tecnologica, che in Vinge era ancora fantascienza, divenne futurologia quando Ray Kurzweil confermò, all'inizio del secolo (questo), che poiché il rapporto tra potenza e costo dei computer cresce esponenzialmente, in poche decadi saremo tutti fagocitati da macchine intelligenti.
Rispetto alle tante predicazioni dell'avvento di una intelligenza artificiale, quella della singolarità tecnologica viene servita in salsa numerica: grazie al richiamo alle funzioni matematiche, i futurologi sanno dirci con qualche precisione dove si situa il "punto di rottura" nel nostro futuro. E se i calcoli di Vinge e Kurzweil sono corretti, quello che inizia oggi potrebbe essere l'ultimo decennio della nostra vecchia e cara (anche se a volte un po' carente) intelligenza umana.
Ma se questo è vero, i contorni di questo terribile buco della nostra storia si dovrebbero iniziare a scorgere. Invece, nulla. Se l'intelligenza computazionale più mirabolante che abbiamo visto di recente è quella di Wolfram Alpha, allora i nostri neuroni possono dormire sonni tranquilli. Anzi, il fatto che, mentre la potenza computazionale cresce a dismisura, il trattamento della conoscenza di cui siamo capaci è ancora in sostanza quello delle basi di dati, dimostra come la tesi della singolarità tecnologica sia una di quelle che, con ogni probabilità, in questo decennio dimenticheremo.